'The Post', la recensione | Rolling Stone Italia
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‘The Post’ è una trionfante chiamata alle armi

L'ultimo film di Steven Spielberg è un thriller giornalistico perfetto per questi tempi, una storia d'amore tra la stampa e gli esseri umani dotati di raziocinio.

Tom Hanks, in 'The Post'

La prima cosa da sapere su The Post è che racconta una storia d’amore: il nuovo, intenso dramma di Steven Spielberg celebra la passione tra la stampa libera e gli esseri umani dotati di raziocinio. Una specie in pericolo, nell’America di Donald Trump. Il film è ambientato nel 1971, quando l’editrice del Washington Post Katharine Graham (Meryl Streep) e il direttore Ben Bradlee (Tom Hanks) decisero di ignorare le minacce della Casa Bianca guidata da Nixon e pubblicare i Pentagon Papers, un’inchiesta che svelava un gigantesco insabbiamento sul Vietnam in cui era coinvolto il governo, che continuava a inviare giovani a morire sul fronte nonostante sapesse che quella guerra non si poteva vincere.

Questa è la Storia. E questo è il film, un thriller giornalistico-cospiratorio girato con fierezza e grande cuore. Il veterano Spielberg, 70 anni, ha definito The Post “un film d’inseguimenti con giornalisti”. E il senso d’urgenza pervade tutte le scene. Nonostante la storia raccontata sia ormai vecchia di 46 anni, è impossibile guardare il film senza piombare in uno stato d’attesa. Il colpo di genio di Spielberg è usare la vera voce di Nixon, registrato mentre parlava dei suoi crimini e si imbestialiva con la stampa che ne scriveva ogni giorno. Suona familiare?

The Post è esplosivo ed eccitante, uno studio vigoroso su come le azioni definiscano i personaggi. Questa pellicola dichiaratamente old school azzecca tutti i dettagli storici: la redazione, le stampatrici, le copie gettate dai camion a un pubblico pre-digitale. E poi c’è l’inchiesta che consuma le suole delle scarpe, incarnata da un incredibile Bob Odenkirk, che riempie le cabine telefoniche di monetine per fare telefonate segrete e insegue Daniel Ellsberg fino alla stanza di motel dove trova i Pentagon Papers sparsi ovunque.

Ma sono i due protagonisti che rendono il film imperdibile. Hanks è fiero e vitale nel ruolo del giornalista ambizioso che vuole rendere il Post uno dei grandi quotidiani del Paese. È sua moglie (Sarah Paulson) a dirgli di fare un passo indietro, a spiegargli che è la Graham a rischiare di perdere tutto. Parole sante. E quindi tocca a Meryl Streep prendere il centro della scena. Per la maggior parte della sua vita Graham ha subito le decisioni degli uomini, ed è solo dopo il suicidio del marito che diventa editrice. L’ereditiera ha poca fiducia in se stessa e Streep ci fa vedere la sua risolutezza crescere insieme alla sua coscienza e alla sua sicurezza. Se pensiamo ai titoli dei giornali di questi mesi, c’è qualcosa di inebriante nella figura di una donna che si risveglia per dire l’ultima parola.

The Post non arriva ai livelli del classico del ’76 Tutti gli uomini del Presidente, ma è comunque una trionfante chiamata alle armi contro i politici-tiranni che negano il diritto di contrapporre la verità al potere. La Corte Suprema ha deliberato a favore della libertà di stampa nel 1971. Farebbe la stessa cosa, oggi? È una domanda che fa paura. Ma anche il vero motivo per cui questo film straordinario è esattamente il punto di svolta di cui abbiamo bisogno adesso, in questo istante.

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