Il trip allucinogeno-fantascientifico ad altissimo tasso di invenzioni firmato Andrew Patterson non è affatto limitato dalla durata-lampo delle riprese (17 giorni in tutto) e dal budget ridottissimo che il regista si è imposto. Ciò che lo rende uno dei migliori (e più inclassificabili) film dell’anno è il modo ipnotico in cui riesce a superare se stesso di scena in scena. Come l’autore esordiente ha dichiarato in un’intervista a Filmmaker: «L’idea era racchiusa in poche parole – “un thriller sci-fi ambientato nel New Mexico degli anni ’50” – e da lì abbiamo iniziato a farcirla con ingredienti che nessuno si aspettava di trovare».
È esattamente ciò che hanno fatto Patterson e i suoi collaboratori. Girato in Texas ma ambientato appunto in New Mexico, a causa della sua lunga tradizione di avvistamenti paranormali, The Vast of Night (disponibile su Amazon Prime Video) è pieno di sorprese. Il regista, sulla base dello splendido e intricato copione di James Montague (pseudonimo dello stesso Patterson, ndt) e Craig W. Sanger, è chiaramente influenzato da classici sci-fi anni ’50 come Ultimatum alla Terra, Destinazione… Terra! e L’invasione degli ultracorpi. Ma il cuore del film non è in questi omaggi. Tributi ai film di fantascienza passati o meno, quest’opera usa il materiale di partenza per costruire qualcosa di assolutamente originale.
Tutto comincia con una partita di pallacanestro nella palestra del liceo e la sua folla di spettatori urlante, tra cui ci sono anche il conduttore della radio locale Everett Sloane detto “The Maverick” (Jake Horowitz) e la sua giovane fan Fay (Sierra McCormick) – con coda di cavallo e occhiali “a gatto” tipici dell’epoca –, pronti a dedicarsi ai loro impegni notturni. Lui è un deejay nonché fumatore incallito, lei una nerd col pallino della scienza che fa il turno di notte al centralino di Cayuga, popolazione 492 abitanti. Origliamo la loro conversazione, osservandoli perlopiù da dietro, e a prima vista ci sembrano Ethan Hawke e Julie Delpy che parlano animatamente in Prima dell’alba di Richard Linklater. È solo quando entrambi arrivano nel rispettivo luogo di lavoro che notiamo che c’è qualcosa che non va. Una strana frequenza invade il segnale radio e le linee telefoniche sono di colpo interrotte. Fuori sentiamo una voce pronunciare: «C’è qualcosa nel cielo».
Everett e Fay, nerd tecnologici ante-litteram, si mettono a indagare, mentre il direttore della fotografia M.I. Littin-Menz segue le loro scoperte. Il film incornicia brillantemente le loro peripezie dentro un finto telefilm intitolato Paradox Theater, in cui manca solo il narratore Rod Serling a intonare la fatidica frase: «State per entrare in una regione che potrebbe trovarsi ai confini della realtà». Ancora meglio: Patterson ci tiene incollati per dieci magnetici minuti a guardare Fay che collega e scollega cavi telefonici, con il senso di angoscia palpabile che cresce sullo sfondo (e McCormick mette a segno questa sfida recitativa con una bravura notevole). La sequenza d’apertura, destinata a diventare un cult, sembra invece gareggiare con il celebre incipit dell’Infernale Quinlan di Orson Welles, con la macchina da presa che scivola tra le strade della cittadina, entra ed esce dalle finestre e si infila negli angoli più oscuri.
Everett, a cui Horowitz dà la giusta nota di finta sicurezza di sé, decide di trasmettere alla radio quello strano segnale, con la speranza che qualcuno lo riconosca. E così succede. Lo schermo diventa improvvisamente nero, quando ascoltiamo le parole di Billy (Bruce Davis), un reduce di guerra afroamericano rimasto infortunato. Aveva preso parte a un’operazione militare top-secret sugli UFO, in cui – con il massimo del razzismo e sessismo – venivano impiegate solo persone di colore e donne: gente a cui all’epoca nessuno avrebbe mai creduto, se quei segreti fossero venuti a galla. E più tardi arriva anche la chiamata di Mabel Blanche (Gail Cronauer), un’anziana signora che svela che quel segnale misterioso è da rintracciare ancora più indietro nel tempo. Molto, molto più indietro.
Cresciuto in Oklahoma, dove ha mosso i primi passi come regista degli spot della squadra di pallacanestro della sua città natale (gli Oklahoma City Thunder), Patterson ha un’eleganza visiva che lo porterà di sicuro lontano. E quando mette il suo stile prodigioso al servizio dell’incalzante colonna sonora di Jared Bulmer ed Erick Alexander, senti di essere trascinato nella visione da un giovane autore di grandi speranze. Il suo racconto della paranoia della Guerra Fredda parla anche alle paure profonde che tutti stiamo vivendo, in questi tempi così incerti.