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‘Thelma’, un horror servito a temperature gelide

Il cineasta norvegese Joachim Trier ci regala un'eroina il cui risveglio sessuale causa scompiglio soprannaturale - e un film visivamente notevole ma senza uno scopo.
3 / 5

Per quanto riguarda la scena d’apertura, Thelma – il viaggio nell’horror del regista norvegese Joachim Trier, ma sommerso di note a piè di pagina – inizia con una chicca. Una ragazzina e suo padre camminano su un lago ghiacciato. Lei continua a guardare i pesci che nuotano sotto i suoi piedi, ha l’aria sconvolta; per quanto riguarda l’uomo, neanche lui sembra troppo sicuro di sé. Ha un fucile da caccia sulle spalle. Poi entrano nella foresta, sempre più in profondità, finché non trovano un cervo. L’uomo fa un passo indietro, carica l’arma e si prepara a colpire. La bambina è poco più avanti, gli occhi fissi sull’animale. Il padre si gira e senza che lei si accorga di nulla, le punta il fucile addosso. Titoli di testa. Cosa cazzo sta succedendo?

Quando la incontriamo di nuovo, questa donna apparentemente anti-proiettile – si chiama Thelma ed è interpretata da Eili Harboe – è al college e per niente a suo agio con il suo corpo. Scopriamo che non ha nessun vero amico; che i suoi genitori ultra-cristiani le impongono i sì e i no del suo stile di vita; che soffre di inspiegabili convulsioni. E tutti quegli uccelli che come kamikaze si schiantano sulle finestre delle stanze in cui si muove… è sicuramente una coincidenza, giusto?

Un incidente particolarmente cruento attrae l’attenzione di Anja (Kaya Wilkins), una compagna di studi. La preoccupazione diventa presto amicizia, l’amicizia quasi un flirt. Nel giro di qualche scena le due vanno a ballare, bevono vino, si scambiano sguardi nostalgici. Poi, mentre ballano, un momento di intimità e di inevitabile contatto fisico porta Thelma quasi a distruggere un intero edificio. Ci sono enormi poteri psichici sepolti in questa giovane ragazza, i risultati potenzialmente distruttivi. Avete la nostra attenzione.

A dirla tutta, la nostra attenzione è l’ultimo dei problemi per uno come Trier, ex-campione di skateboard trasformato in regista con un debutto, Reprise, che combinava alla perfezione virtuosismi e tecnica impeccabile. Con il suo secondo film, Oslo, August 31, ha dimostrato a tutti di padroneggiare anche i silenzi, l’atmosfera e l’attenzione ai dettagli, soprattutto per raccontare la storia della spirale suicida di un uomo. Persino il suo unico passo falso, Louder than Bombs, è illuminato da una serie di scene memorabili. Trier è un vero talento, uno che o fa le cose in grande o lascia perdere. Ci sono tutti gli elementi, quindi, per pensare che il regista e il suo sceneggiatore Eskil Vogt abbiano scelto la prima opzione, confezionando un pellicola un po’ La vita di Adele e un po’ Carrie, un film sulla follia gotico-saffica-telecinetica di una ragazzina repressa.

Joachim Trier e Eili Harboe sul set di ‘Thelma’.

Nel bene e nel male, Thelma non spinge mai completamente sull’acceleratore – anche se ci sono due scene mozzafiato, che coinvolgono una finestra rotta e una combustione spontanea, che rispettivamente, ti danno un assaggio di quale versione sconvolgente di questo potboiler psicologico potrebbe essere se solo si togliesse il coperchio. Invece Trier fa sobbollire tutto, con il gesto occasionale e grandioso circondato da lunghe distese di surrealismo frizzante e strizzate d’occhio ad altri cineasti. (Guardando quella scena tremante e tremolante dell’auditorium quando Anja suscita il desiderio di Thelma, puoi dire che il regista norvegese ha studiato Hitchcock – o almeno ha studiato De Palma studiando Hitchcock).

Questo è un horror servito a temperature gelide, il tipo che usa la gratificazione ritardata e il terrore esistenziale per continuare a chiedersi quando succederà invece di che cosa accadrà. È anche uno stile che – senza uno scopo preciso – oltre a essere superficialmente spettrale, provoca un senso di frustrazione. C’è una differenza tra un thriller che brucia lentamente e uno che è solo lento; c’è una differenza tra ambiguità e non avere una risposta, punto. Puoi quasi percepire il regista che capovolge le idee passate: l’emancipazione femminile, quella religiosa, la manifestazione di rabbia o di desideri libidinosi come soprannaturali, traumi che sbloccano i “doni” genetici dell’Homo superior – prima di scartarli o lasciarli andare a morire. Persino la sua eroina, interpretata da Harboe con la confusione e la disperazione negli occhi da cerbiatta, inizia a somigliare più a uno schizzo di personaggio che a una giovane donna intrappolata in un tornado emotivo.

Alla fine scopri perché il padre di Thelma provava il fucile contro sua figlia e, mentre l’immagine non è meno inquietante una volta che le ragioni alla base sono venute alla luce, la rivelazione non aggiunge molto al take away finale, oltre al “fai attenzione a quello che desideri”. Ok, c’è troppo, innegabilmente impressionante filmmaking per non prendere in considerazione Thelma, ma c’è una trama troppo incerta per consigliarlo davvero. Trier ha fatto indubbiamente suo un grande studio sul personaggio nei film horror. Non vediamo l’ora di vederlo.

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