Sorpresa: Thom Yorke ha dell’altra alienazione da condividere con voi. Il suo ultimo confessionale da laptop è una pubblicazione inaspettata, come ogni album di Thom Yorke che si rispetti – o ogni disco dei Radiohead da dieci anni a questa parte.
Richiede un ascolto profondo, mentre la voce malinconica di Yorke riecheggia nella sala di specchi che lui e il produttore Nigel Godrich hanno costruito a colpi di synth. Come nel suo debutto solista, The Eraser (2006), Yorke ha scritto un album ricco di ballate pop che ti arrivano dirette, in modo disarmante. Tutto è rivestito da effetti glitchcore amorevolmente retrò, presi direttamente dal secolo scorso.
Ma non si può non riconoscere l’intima angoscia di The Mother Lod, Truth Ray e Interference, dove Yorke ulula “In the future we will change our numbers and lose contact” (nel futuro cambieremo i nostri numeri e ci perderemo di vista).
La seconda metà dell’LP ha una suite ambientale di 10 minuti, aperta da There Is No Ice (For My Drink), che inizia con una richiesta accelerata di una “ricerca della visione” (non è che Yorke sta reclamando la filmografia completa di Matthew Modine?). Mette le basi per Nose Grows Some, di sicuro la canzone più forte e cupa del lotto.
Come in tanti grandi finali dei Radiohead – Motion Picture Soundtrack, Videotape, Street Spirit (Fade Out) – ti atterrisce, è un inno alla sconfitta emozionale.
Yorke avrà paura di perdere un contatto umano, come tutti noi. Ma con queste canzoni non ci rinuncia senza combattere.
Qui sotto il video di A Brain in a Bottle: