Se dovessi spiegare a un alieno gli anni Zero utilizzando solo tre dischi, probabilmente uno sarebbe dei TV on the Radio perché, come e più di altri, rappresentano alla perfezione il decennio in cui i confini tra i generi sono stati abbattuti, l’indie è diventato mainstream e il pop inteso come grande macchina universale del consenso ha mutato forma e contenuto fino a riscrivere completamente quelle regole che il crollo dell’industria discografica aveva reso obsolete.
I Tv on the Radio nascono proprio da quel contesto, dalle macerie degli anni ’90, e sono emersi proprio grazie alla loro capacità innata di percorrere strade diverse, ma tutte contemporaneamente. Perché se solo l’idea di un gruppo indie rock composto per quattro quinti da afroamericani – un gruppo che nel primo EP piazzava addirittura una cover dei Pixies – poteva sembrare rivoluzionaria, lo era ancora di più la loro proposta musicale basata sul disorientamento: post punk, disco music, chitarre garage e voce soul.
Un grande, bellissimo, casino. Dopo tre album di livello sopraffino e un quarto album passato ingiustamente inosservato, provano a riprendersi il centro della scena con Seeds che per la prima volta prova a cristallizzare il suono dei TV on the Radio fino a renderlo quasi un cliché, come se si trattasse di un greatest hits di soli inediti.
Peccato però che l’eccitazione e l’impeto giovanile abbiano lasciato spazio a un formalismo pop che li conferma impeccabili, ma pure meno freschi, capaci di scrivere ancora grandi canzoni, ce ne sono anche qui, ma che inevitabilmente finiscono per sprofondare nel revival. Il revival di loro stessi.