Wake up!, la nostra recensione del disco di Papa Francesco | Rolling Stone Italia
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Wake up!, la nostra recensione del disco di Papa Francesco

Il singolo prog ci aveva fatto intravedere una rivoluzione rock, di cui non c'è traccia nel resto dell'album

Se tre indizi fanno una prova, tre papi possono fare un genere musicale: dopo il prolifico Giovanni Paolo II e l’intonato Benedetto XVI, anche Papa Francesco ha pubblicato il suo disco, Wake Up!, l’ultima opera del genere papale. Prendendo la definizione di genere musicale di Philip Tagg come “triangolo assiomatico” i cui vertici sono musica colta, musica popolare e musica folcloristica, quello papale è il fulcro del cerchio inscritto in questo triangolo. La tematica sacra rappresenta la parte colta, la notorietà globale del Papa è l’elemento popolare e la tradizione cristiana è il folklore – se aggiungiamo che tutte queste produzioni stanno nei confini dello Stato Vaticano, possiamo anche parlare di folklore nazionale. Per aggiungere un terzo riferimento al numero tre, elevando la sacralità di questa recensione al cubo, la struttura musicale dei brani papali è composta da tre elementi: un segmento significativo di un discorso del Papa incastonato su un inno cattolico, eseguito con una base musicale mai troppo lontana dalla tradizione.Il genere papale ha il suo Phil Spector in Don Giulio Neroni, producer di Abbà Pater e Santo Subito! di Giovanni Paolo II e Alma Mater di Benedetto XVII – un disco a suo modo di rottura del genere per aver incluso il cantato originale del Papa in un brano – e ora direttore artistico di Wake Up!. Forse è la continuità nella produzione a non rendere questo disco la “rivoluzione” che ci si aspettava da Papa Francesco, il Pontefice preso “alla fine del mondo”, il thug pope che prenderebbe a pugni chi parla male di sua madre e per cui non esiste festa senza vino, che parla di libera scelta e perdono. Il singolo Wake Up! Go! Go! Forward! aveva fatto ben sperare quantomeno per la scelta di riferimenti musicali più particolari, anche se di sicuro non nuovi: il coinvolgimento di Tony Pagliuca, tastierista de Le Orme e tra i padri del prog rock italiano, e il giro di chitarra elettrica accompagnato dalla batteria incalzante ci aveva effettivamente illusi. Ascoltando tutte le 11 tracce in fila, l’album si può dividere in due parti. La prima è un misto di world music e reminiscenze latine (nel senso di sudamericane), che arrivano al loro massimo picco con quello che potrebbe essere il secondo singolo dell’album Ciudar el Planeda, la traduzione in spagnolo del Cantico delle Creature sul discorso in spagnolo del Papa alla FAO riguardo l’accesso a cibo e acqua. Il parlato di Papa Francesco colpisce per rilassatezza e verve, a differenza della rigidità degli altri due papi penalizzati forse dal non poter usare la loro lingua natale, ma le scelte musicali non stupiscono: chi segue la scena degli oratori sa bene che chitarre e tastiere hanno preso il posto degli organi da un po’ di tempo, e che le vibrazioni terzomondiste fanno parte della musica cristiana da che esiste l’evangelizzazione post-coloniale.La seconda parte, dal brano che dà il titolo al disco in poi, non ha nulla di prog. Si potrebbe dire che ha l’enfasi dell’epic metal, o per essere più precisi dell’opera rock. Anzi, pop. Sì, insomma, i musical di Riccardo Cocciante. Ma la presenza impregnata di pop e social media management di Papa Francesco può tutto, può anche trasformare un disco di musica cristiana in un’apertura delle review di un mensile musicale. Il penultimo brano, Santa Famiglia di Nazareth, che ha come testo una preghiera scritta dal Papa, sembra uscito dalla colonna sonora di un teen movie drammatico, ma quando l’ultimo brano attacca con un’enfasi tra Vangelis e i Coldplay di Viva la vida, ci si aspetta un’apertura, che non arriva mai. Questo è il pontificato di Francesco, che dietro assoluzioni e laissez-faire rispetto a temi socialmente caldi come unioni omosessuali e diritti riproduttivi, nasconde la medesima inamovibilità dei suoi predecessori rispetto alla sacralità della famiglia o sui testi della Dottrina, come dimostrato sul tema del sa-cerdozio alle donne. D’altronde, sarebbe naïf aspettarsi che un pontefice ribalti lo stato delle (sue) cose, anche musicalmente parlando. E siate onesti: se non avete iniziato a credere in Dio dopo aver ascoltato What’s Going On di Marvin Gaye, non sarà di certo un disco papale a convertirvi.

Il singolo prog ci aveva fatto intravedere una rivoluzione rock, di cui non c'è traccia nel resto dell'album

Se tre indizi fanno una prova, tre papi possono fare un genere musicale: dopo il prolifico Giovanni Paolo II e l’intonato Benedetto XVI, anche Papa Francesco ha pubblicato il suo disco, Wake Up!, l’ultima opera del genere papale. Prendendo la definizione di genere musicale di Philip Tagg come “triangolo assiomatico” i cui vertici sono musica colta, musica popolare e musica folcloristica, quello papale è il fulcro del cerchio inscritto in questo triangolo. La tematica sacra rappresenta la parte colta, la notorietà globale del Papa è l’elemento popolare e la tradizione cristiana è il folklore – se aggiungiamo che tutte queste produzioni stanno nei confini dello Stato Vaticano, possiamo anche parlare di folklore nazionale. Per aggiungere un terzo riferimento al numero tre, elevando la sacralità di questa recensione al cubo, la struttura musicale dei brani papali è composta da tre elementi: un segmento significativo di un discorso del Papa incastonato su un inno cattolico, eseguito con una base musicale mai troppo lontana dalla tradizione.

Il genere papale ha il suo Phil Spector in Don Giulio Neroni, producer di Abbà Pater e Santo Subito! di Giovanni Paolo II e Alma Mater di Benedetto XVII – un disco a suo modo di rottura del genere per aver incluso il cantato originale del Papa in un brano – e ora direttore artistico di Wake Up!. Forse è la continuità nella produzione a non rendere questo disco la “rivoluzione” che ci si aspettava da Papa Francesco, il Pontefice preso “alla fine del mondo”, il thug pope che prenderebbe a pugni chi parla male di sua madre e per cui non esiste festa senza vino, che parla di libera scelta e perdono. Il singolo Wake Up! Go! Go! Forward! aveva fatto ben sperare quantomeno per la scelta di riferimenti musicali più particolari, anche se di sicuro non nuovi: il coinvolgimento di Tony Pagliuca, tastierista de Le Orme e tra i padri del prog rock italiano, e il giro di chitarra elettrica accompagnato dalla batteria incalzante ci aveva effettivamente illusi. Ascoltando tutte le 11 tracce in fila, l’album si può dividere in due parti. La prima è un misto di world music e reminiscenze latine (nel senso di sudamericane), che arrivano al loro massimo picco con quello che potrebbe essere il secondo singolo dell’album Ciudar el Planeda, la traduzione in spagnolo del Cantico delle Creature sul discorso in spagnolo del Papa alla FAO riguardo l’accesso a cibo e acqua. Il parlato di Papa Francesco colpisce per rilassatezza e verve, a differenza della rigidità degli altri due papi penalizzati forse dal non poter usare la loro lingua natale, ma le scelte musicali non stupiscono: chi segue la scena degli oratori sa bene che chitarre e tastiere hanno preso il posto degli organi da un po’ di tempo, e che le vibrazioni terzomondiste fanno parte della musica cristiana da che esiste l’evangelizzazione post-coloniale.

La seconda parte, dal brano che dà il titolo al disco in poi, non ha nulla di prog. Si potrebbe dire che ha l’enfasi dell’epic metal, o per essere più precisi dell’opera rock. Anzi, pop. Sì, insomma, i musical di Riccardo Cocciante. Ma la presenza impregnata di pop e social media management di Papa Francesco può tutto, può anche trasformare un disco di musica cristiana in un’apertura delle review di un mensile musicale. Il penultimo brano, Santa Famiglia di Nazareth, che ha come testo una preghiera scritta dal Papa, sembra uscito dalla colonna sonora di un teen movie drammatico, ma quando l’ultimo brano attacca con un’enfasi tra Vangelis e i Coldplay di Viva la vida, ci si aspetta un’apertura, che non arriva mai.
Questo è il pontificato di Francesco, che dietro assoluzioni e laissez-faire rispetto a temi socialmente caldi come unioni omosessuali e diritti riproduttivi, nasconde la medesima inamovibilità dei suoi predecessori rispetto alla sacralità della famiglia o sui testi della Dottrina, come dimostrato sul tema del sa-cerdozio alle donne. D’altronde, sarebbe naïf aspettarsi che un pontefice ribalti lo stato delle (sue) cose, anche musicalmente parlando.
E siate onesti: se non avete iniziato a credere in Dio dopo aver ascoltato What’s Going On di Marvin Gaye, non sarà di certo un disco papale a convertirvi.

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