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Anche per Young Thug è arrivato il momento di guardarsi dentro

‘Punk’ è il disco più riflessivo di uno dei rapper più eccentrici di sempre, e apre la porta a nuovi scenari sonori. Mancano giusto i banger del passato, ma ci sono Drake, Post Malone, Travis Scott, J. Cole
3.5 / 5

Come si fa a «continuare a imparare a continuare a imparare», come ha detto Young Thug prima di pubblicare il nuovo album Punk? È una domanda centrale per il mythos di uno degli artisti più affascinanti e provocatori dell’hip hop di questi anni. Col nuovo LP, il rapper si ritrova in un ambiente che ha costruito in buona parte a propria immagine e somiglianza. Thug non è uno che cambia per il puro gusto di farlo. Punk è l’album più lungo della sua carriera (20 tracce), pieno di canzoni nel suo stile classico e anche di qualche anticipazione di quello che in futuro potrebbe essere il suo sound.

La cosa più vicina a Punk che Thug ha già pubblicato è Beautiful Thugger Girls, il mixtape del 2017 dove l’MC oggi trentenne, eterno sperimentatore, rappava col suo accento tipico del Sud su una serie di ballate country. Anche in Punk le chitarre acustiche sono importanti. Nel pezzo d’apertura Die Slow Thug si presenta con aria contemplativa, mentre chitarre delicate ne accompagnano le strofe meditative, quasi un flusso di coscienza. “Ho bevuto un po’ di lean, ma è andata bene, in tutto questo tour ne ho bevuto meno di una pinta / Sì, in tour, ho perso il compleanno di mio figlio, è il 15 luglio”, dice.

In altri brani come Livin It Up, con A$AP Rocky e Post Malone, lo stesso arrangiamento a base di chitarre è meno efficace, in parte a causa delle performance poco convincenti dei due ospiti. Il pezzo sembra una goffa hit radiofonica, quasi un lato B di un disco di Post Malone e non un singolo di Young Thug. Ma è l’unico feat poco riuscito del disco. Nella sua strofa in Stressed, J. Cole riesce a raggiungere alla perfezione l’estensione vocale di Thug, confezionando una delle migliori performance della sua carriera. Il pezzo con Future e Bslime, Peepin Out the Window, ricorda le classiche hit del rap di Atlanta, prima che la scena della città si prendesse il mainstream. Qui la voce di Thug, soffice e angelica, galleggia delicata su un beat mentre Future lo armonizza, mettendo in mostra la loro straordinaria intesa.

In Bubbly ci sono Travis Scott e Drake, che insieme a Thug sono come la Santa Trinità del rap di successo. È un gran pezzo di rap spaccone, una delle cose migliori fatte dai tre negli ultimi anni. Scott è pieno d’energia e aggiunge alla sua classica delivery una bella varietà di cadenze. Drake ovviamente fa Drake, ma qui sembra finalmente divertirsi.

In quanto ai testi, Thug non è mai stato così con i piedi per terra come in Punk. Il disco non ha i banger per cui è diventato famoso, ma è ricco di passaggi introspettivi e riflessioni interiori. In Droppin Jewels, per esempio, condivide col pubblico la saggezza che può avere solo uno dei musicisti più prolifici di questi anni. “Devi affrontare questa roba col cuore”, dice. In Fifth Day Dead, invece, si vanta della propria generosità: “Mezzo milione a papà, ha comprato un ranch”.

Peccato che in Punk manchi un po’ della magia che ha reso celebre Thug, quel tipo di musica a cui i fan sono abituati dopo tutte le trasformazioni degli ultimi anni. È come se il rapper avesse scritto canzoni per levarsi un peso dallo stomaco. Non è un disco stupefacente, ma apre la porta a scenari eccitanti. Cosa farà adesso?

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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