Bodi, un giovane mastino tibetano pieno di entusiasmo, è destinato a diventare il prossimo guardiano di un gruppo di pecore amanti del divertimento, che vivono in un piccolo villaggio in campagna. Il cane però ha paura di non essere portato per questo ruolo al quale il padre, Khampa, lo ha preparato fin da piccolo. Tutto cambia quando, da una radio caduta letteralmente dal cielo, Bodi ascolta una canzone della leggenda del rock Angus Scattergood, e scopre così il mondo della musica.
Bodi, dopo aver lasciato il villaggio per inseguire il suo destino nella grande città, attira su di sé le mire del nemico giurato di Khampa: Linnux. Capo di un famelico branco di lupi, Linnux è convinto che Bodi sarà il suo lasciapassare per entrare nel villaggio e avvicinarsi così a quelle pecore succulente. Toccherà a Bodi salvare la sua famiglia e i suoi amici dal pericolo senza rinunciare ai propri sogni.
Rock Dog si basa su una graphic novel scritta da Zheng Jun. Jun ha notato come in Cina la cultura del fumetto fosse dominata dai fumetti giapponesi (soprattutto manga). Quando sua figlia gli ha chiesto il perché di questa forte influenza, il disegnatore ha avuto l’idea di creare la prima graphic novel originale cinese.
Zheng Jun ha creato Rock Dog partendo dalla propria esperienza. Come il protagonista della sua storia anche Jun ha studiato per una carriera in international business, fino a quando un giorno non ha sentito Bruce Springsteen alla radio. Questo incontro ha acceso in lui la passione per la musica e la sua vita ha cambiato corso permettendogli di condividere il suo amore per il rock’n roll con il mondo.
Zheng Jun si è trasferito a Pechino dove ha iniziato a esibirsi come musicista di strada, dormendo sul pavimento a casa di amici per risparmiare. Piano piano ha iniziato a crearsi una carriera, arrivando al vertice dell’industria musicale cinese.
Inoltre alla sua avventura si è aggiunto un personale viaggio da devoto buddista. Scegliendo simbolicamente un mastino tibetano come eroe e cuore della sua storia, l’autore ha fatto un rispettoso riferimento all’amore per questo animale nella tradizione buddista cinese (soprattutto in Tibet). Il libro è inoltre pervaso da alcuni principi buddisti come il concetto dell’illuminazione e la scoperta della nostra forza interiore.
Nel 2013 il produttore David B. Miller pensò di includere nel film una scena con un'esibizione di alcuni musicisti di strada. Miller chiese così a sua figlia di contattare chiunque dei suoi amici potesse essere interessato alla cosa. Uno di loro, studente al Berklee College of Music di Boston, diffuse la voce nel campus.
Più di tremila canzoni furono presentate per accompagnare la scena, ma il pezzo che catturò l’attenzione di David e del regista Ash Brannon fu "GLORIOUS", scritta da quattro ex studenti della Berklee (Adam, Julia, Sam e Lijie). I due amarono talmente tanto la canzone che capirono subito di aver bisogno di maggior spazio rispetto alla sola scena del parco. Fu così che decisero di farla diventare il tema portante del film.
Adam, uno degli studenti che scrisse la canzone, nell’estate del 2014 si trasferì a Los Angeles e incontrò David e Ash, produttore e regista del film. Proprio grazie al lavoro con Ash sul testo della canzone, fatto per allinearlo con i temi e l’etica di Rock Dog, si arrivò finalmente alla versione finale di "GLORIOUS" (in italiano si chiama "INVINCIBILE"). Ed è proprio lo stesso Adam a eseguire la canzone nel film, prestando la sua voce per le parti cantate di Bodi e contribuendo alla musica del rap cantato da un coniglio nella scena ambientata nel Rock n’ Roll Park.
Nella versione italiana le canzoni originali del film, tra cui anche "INVINCIBILE", sono interpretate da Giò Sada, vincitore nel 2015 della nona edizione del talent show X FACTOR.
Foo fighters
BECK
RADIOHEAD
Il suo nome è Giovanni. Giovanni Sada, anzi Giò Sada. Ha già avuto almeno un paio di vite e tre nomi (quello d’arte, a X Factor, era diventato Giosada) ed è solo un classe 1989. Lo senti parlare, con quel piglio deciso e personalissimo che ha anche quando canta, la cadenza barese ad accompagnarlo. C’è determinazione e candore in questo cantante appena tornato dall’America, reduce dall’esperienza di un rockumentary con Joe Bastianich (sì, non è uno scherzo) e che vedremo al cinema: più in là come attore, ora con le canzoni originali della colonna sonora di Rock Dog.
Allora come è andata nei panni di questo irresistibile cane musicista?
Alla grande, anche se ho solo cantato l’adattamento italiano della canzone del film, ci siamo visti con Riccardo Cimino, che si occupava dei testi e mi ha fatto vedere come ci aveva lavorato. Ma ho preteso di cantare, di incidere, guardando il film e le scene in cui avrei dato la voce al protagonista. Era un’esperienza che desideravo fare da sempre.
Lungi da me definirti un cantante cane. Però tra lui e te ci son molte somiglianze.
Scherzi, io ci vedo tanto di me nella sua storia. Mi piace l’idea che qui l’eroe sia un musicista e che sia un film d’animazione: pochi mesi fa guardavo i cartoni con mia nipote di 3 anni e volevo fare qualcosa con e per lei, di questo tipo. E pochi giorni dopo arriva questa proposta, è stato magico. La storia di Rock Dog era quella che pensavo per lei, mostrarle con una favola, piena di grazia e poesia, un po’ quello che era successo allo zio.
Beh, va detto che di gavetta ne hai fatta di più. E senza mai scoraggiarti.
La musica è solo crederci. E’ giusto che ci siano anni, per me sono stati nove, in cui si fa tutto il possibile. Per avere qualcosa dalla musica devi dargli tanto, anche troppo, di sicuro più di quello che riceverai. Non deve essere necessariamente un amore equilibrato o corrisposto, non suoni e canti per il successo o i soldi, ma per l’amore che hai per lei. Disinteressato, totale. Ho girato l’Europa in tutti i modi, credevo ciecamente nella musica, non mi chiedevo se era la cosa giusta. Dovevo, punto. Era l’unica cosa che potevo fare. Crederci sempre, il resto accade e non sei neanche tu a determinare come e quando.
Poi è arrivato X Factor. Hai capito subito che sarebbe stata la svolta?
In realtà neanche quando arrivò X Factor mi resi conto di cosa sarebbe successo, amo vivere alla giornata provando sempre a migliorare le cose. Tutti hanno spinto nel verso giusto in quel periodo e sì, durante quell’esperienza ho sentito la splendida sensazione che hai quando tutto e tutti remano nel verso giusto. Ecco in quei mesi non pensavo né di vincere né che andasse così bene, ma mi godevo quello stato di grazia.
Il talent però è sempre più sotto attacco. A X Factor ci sono state ribellioni, come te lo spieghi?
Io parlerei volentieri con questi ragazzi che parlano di contratti e se ne vanno. Il talent è qualcosa a sé, ogni anno è diverso. Il pensiero omologato porta a pensare che tutti gli anni siano uguali ed escono tante cazzate, come la contrattualizzazione capestro. Tutto è eccessivo, è un concorso musicale come milioni, fatto con più rispetto di tanti altri che non vediamo in tv. Ma davvero vogliamo fare finta di non sapere che in alcuni concorsi locali paghi per andare a suonare e devi pure portare la gente!?! E poi, guarda caso, nonostante l’obolo, non vai oltre la semifinale, perché chi trionfa conosce gli organizzatori se addirittura non hanno gli stessi padrini o parenti. Quelli vanno bene? Lo trovo ridicolo reagire così: X Factor è uno spazio per far musica e non va demonizzato.
Qualche consiglio a ci si avvicina però lo daresti?
Sì, andarci da Over: a meno di 18 anni non dovrebbe andarci nessuno, devi costruirti una storia prima e poi arrivare là pronto a migliorarti ma già consapevole della tua identità artistica. La cosa bella di avere esperienza e gavetta dalla tua è anche che hai sempre la forza di ripartire, nel bene e nel male. Non crolli se arriva una delusione, non ti illudi se arriva il trionfo. A chi lo organizza direi di farlo ogni due-tre anni, darebbe più respiro al programma e alle scelte degli artisti.
Non ti fermi mai. Sei tornato dall’America da poco. Che ne pensi del ciclone Trump?
Percorrendola ho ritrovato l’America dei film, quel tipo di modi di fare, anche eccessivi e caricaturali, che ci ha insegnato Hollywood. E’ come sentirsi a casa, quegli atteggiamenti sono parte integrante del tuo immaginario, gli stereotipi hanno ragione d’essere. Era tutto così o quasi: in effetti in Tennessee non avevano solo banjo e spine di grano. E lì ho scoperto che dovevo guardare meglio, più a fondo. Lì ho capito che qualcosa non andava, ho trovato uno stato “molto Trump”. La verità è che non capisci finché non vai là, come la pensano davvero e soprattutto come e dove vanno i loro pensieri, il loro modo di ragionare. Mentre ero lì Hillary Clinton non mi ha mai convinto e neanche a loro evidentemente. Su di lei, poi, aleggiava sempre quel passato inquietante, dalle guerre agli “incidenti” della gioventù sua e di Bill. Confesso, a me piaceva Bernie Sanders. In ogni caso a The Donald diamo tempo, senza pregiudizi. Magari ci stupisce.
E’ stata un’esperienza cicciotta, insomma?
Ah, ah, ormai cicciotto non mi lascia più, è pure un hashtag: un giorno un mio amico me la disse per dire “bello, figo”. E ora è un intercalare di tutti i miei fans.