Bebe Vio: nome scout, Fenice Radiosa. E questo dice più o meno tutto. Suo padre, la prima domenica utile dopo i 104 giorni di ospedale per la meningite fulminante che nel 2008 le ha fatto perdere gli arti, la portò a un’uscita scout (perché lei aveva insistito) e la trovò che giocava a palla prigioniera aggrappata alla schiena del suo capo. Il suo soprannome da promessa della scherma invece era «l’ostica mancina». Perché a nessuno piace tirare di scherma contro un mancino e a nessuno piace tirare di scherma contro Bebe Vio, che a Rio ha vinto un oro individuale indimenticabile (più il bronzo a squadre).
Lei è davvero un’ostica fenice radiosa. L’unica cosa che mette ordine nella sua esplosiva vitalità è una specie di codice morale basato su una sola regola. Bebe dice sempre quello che pensa, e fa quello che decide di fare. Verso la fine di questa giornata, mi guarda: è stanca, capisco che sta per chiedermi di rimandare l’intervista. Poi il suo sguardo cambia: la farà, e la farà al massimo. Credo che sia normale: quando vinci le guerre che ha vinto lei, ti resta un’adrenalina che non si spegne più.
Sono passati nove anni dalla malattia, contratta perché Bebe non era vaccinata. Nel 2007 c’erano stati nove casi in provincia di Treviso. I suoi genitori avevano chiesto consiglio al pediatra della Asl, che aveva suggerito di non fare vaccini. Un anno dopo, Bebe fu colpita da una meningite fulminante di tipo C: «Noi ci siamo fidati, d’altronde erano degli specialisti», racconta suo padre Ruggero. «Purtroppo ci siamo sbagliati». Un rimpianto che ha devastato la vita dei Vio, che hanno visto la figlia di 11 anni perdere avambracci e gambe.
Solo che poi Bebe è diventata la fenice radiosa e si è ripresa tutto, con gli interessi, fino al 2016, quando più nessuno al mondo ha potuto ignorare la sua storia. Noi un’estate facciamo la maturità e la sogniamo ancora a 35 anni. Lei nel 2016 ha superato la maturità, subito dopo ha vinto l’oro olimpico a Rio e, nel mese in cui si fanno i test d’ingresso all’università, si è fatta i selfie con Obama. Questo shooting e questa intervista li ha fatti dopo un volo intercontinentale: è arrivata nello studio direttamente dall’aeroporto e si è riposata solo dieci minuti per sbranare un piatto di pasta (ha un appetito notevole). Era appena tornata da New York, dove aveva parlato nell’anfiteatro dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a un pubblico di 2.200 studenti.
Ti eri preparata un discorso?
Io? Io non mi preparo mai niente, se ti prepari un discorso poi devi recitarlo, allora potrebbe andare all’Onu anche un’altra persona. E poi magari non l’hai scritto nemmeno tu, il discorso. Io invece, posso solo buttarmi nelle situazioni. In teoria il tipo che mi presentava doveva farmi una domanda per introdurmi, puntavo su quello.
E invece?
E invece dice: “Bebe Vio, ha vinto le Paralimpiadi, è talmente brava che non ha bisogno di domande”. Io sono rimasta per un attimo senza parole. Ho detto: “Ok…”. E poi ho iniziato a parlare, di getto.
La timidezza non sai nemmeno dove sta di casa.
Io funziono perché dico solo quello che penso, se sono stanca dico che sono stanca, non mi faccio problemi a dire niente. Sai però qual è la verità? Che io sono super sopravvalutata. Sono molto più normale di quello che pensa la gente. Ogni tanto mi dicono: “Bebe, sei un supereroe”. Ma non è vero, mi state tutti sopravvalutando.
Sei sempre così severa con te stessa?
BEBE Io sono cattiva con me stessa, mi sembra di non fare mai abbastanza bene.
In tutto?
In tutto. Lo sport, il modo di usare le protesi, il modo di parlare. Non mi va mai bene niente. Nemmeno l’oro che ho vinto.
Davvero?
Vinto abbiamo vinto, quindi siamo super contenti. Però errori ne ho fatti tanti, anche a Rio. Si può sempre migliorare.
Mentre parliamo, seduti al bar di un albergo a Roma, Bebe beve succo di pomodoro e tormenta le sue protesi, le tocca, le stimola, ne sperimenta i confini. Familiarizza con loro:«Sono nuove, posso muovere le singole dita con i movimenti dei muscoli delle braccia, ma sono difficili da usare, avevo appena imparato le altre. Però con quelle potevo solo aprire e chiudere la mano, sempre lo stesso movimento alla stessa velocità. Con questa posso muovere le dita a diverse velocità, è una combinazione di testa e muscoli. E posso finalmente gesticolare».
Pensavo che sei sempre in movimento: ti piace prendere l’aereo?
Sono la più scialla del mondo. Ogni volta che c’è una turbolenza mi rilasso, penso che, se anche morissi ora, ciò che dovevo fare l’ho fatto e morirei mentre mi sto divertendo.
Come fai ad avere un rapporto così rilassato con la paura?
Io non ho mai vera paura, perché trasformo le paure, le rendo utili ai miei scopi. Anche prima, durante lo shooting, avevo dei limiti, avevo i tacchi nuovi e non riuscivo a gestirli bene. Ero con un
fotografo bravissimo e devi starci dietro a uno così. Avevo i vestiti Dior e avevo paura di rovinarli.
Il tuo segreto è quell’interruttore dell’agonismo che hai in testa. Quando ti sei accorta di averlo?
Da sempre, se sento la parola “gara”, in me scatta qualcosa. Se mi dici: facciamo a gara a chi finisce prima il succo di pomodoro, io lo devo finire prima di te, anche se mi strozzo.
Ho dato del tu a Napolitano, ho dato una pacca sulla spalla a Obama: forse esagero, ma perché dovrei essere diversa?
C’è una storia divertente che Bebe racconta in Mi hanno regalato un sogno, il suo libro uscito per Rizzoli. Era stata invitata a parlare alla nazionale di calcio under 21 per motivarli prima dell’Europeo 2013. C’era Arrigo Sacchi, all’epoca coordinatore delle nazionali giovanili. Bebe conclude dicendo: “Voi dovete spaccare, perché la cosa più importante di quando si fa una gara è vincere”. Si alza Sacchi che dice: “L’importante è partecipare, non vincere”. “Ma loro devono partecipare per vincere”. È una tipica storia Bebe Vio, che a volte sembra arrivata da un altro pianeta a fare a pezzi tutti i nostri luoghi comuni. Lei ride, ripensandoci: «Siamo tutti uguali, non ha senso trattare nessuno come Dio sceso in terra, ho dato del tu a Napolitano, ho dato più di una pacca sulla spalla a Obama: forse esagero, ma perché dovrei essere diversa? Per me Sacchi è un pelato, come papà. Se dice una cosa che non trovo giusta, non riesco a stare zitta».
Quanto ti ha aiutato l’agonismo nei momenti difficili?
Tanto, per me il letto era come la pedana della scherma, hai tre minuti per vincere un assalto, hai tre mesi per uscire dall’ospedale: stessa cosa. Quando sono andata al centro protesi, la lotta era riuscire a camminare meglio del vecchietto accanto a me. Mi auto-creavo delle sfide, mi dissero: “Starai qui sei mesi”. Mi sono detta: “Entro due devo uscire”, e ho vinto io.
In questo la tua famiglia è stata decisiva, non ti ha mai messo sotto una campana di vetro.
Non hanno mai avuto l’atteggiamento: “Oddio, ora Bebe si rompe”. A casa abbiamo capito che era tornato tutto normale quando i miei fratelli hanno ricominciato a menarmi per avere il telecomando. Con le ferite aperte e tutto, non ce ne fregava niente, la lotta per il telecomando è la lotta per il telecomando.
E tu sei così con i bambini di art4sport, l’associazione che hai fondato con la tua famiglia per avviare allo sport i giovani amputati?
Loro sono i miei supereroi. C’è Margheritina: è una bimba di 9 anni che fa taekwondo, è nata senza un braccio. Ha un fratellino che vuole così tanto fare parte del gruppo da venire con la mano fasciata o fingendo di zoppicare. Noi gli diciamo: “Guarda che è scomodo essere amputati”, ma niente.
Hai cambiato la percezione della disabilità.
Ma non solo io. C’è Emanuele Lambertini, che ha iniziato a fare scherma con me, l’ho conosciuto al centro protesi, si metteva i pantaloni lunghi per non far vedere la gamba amputata. La scherma l’ha cambiato, è venuto a Rio e soprattutto si sente figo, si fa il risvoltino a metà coscia per far vedere la gamba nuova e cucca un sacco di ragazze. Sembra una cazzata, ma io sono così fiera di lui.
Uno dei tuoi eroi è Oscar Pistorius. Per te è cambiato qualcosa dopo la sua condanna?
Niente. Io ho iniziato a fare sport grazie a Oscar. Ero appena uscita dall’ospedale, ero messa male, senza protesi alle gambe. Mamma andò a una sua conferenza. Lo vedi quando un genitore sta affrontando qualcosa di più grande di lui. Oscar deve aver visto questa cosa in lei, ha chiesto di incontrarmi, in privato, nel suo hotel. Mi disse: “Bebe, sentirai di nuovo il vento tra i capelli, vedrai che figata spaziale”.
Che idea ti sei fatta di tutta la storia?
A lui è mancata la famiglia, la mamma era morta, suo fratello entrava e usciva dal carcere come da una pasticceria, si affidava al manager, che lo vedeva come una macchina da soldi, ed è uscito di testa. Ma nessuno sa cosa sia successo davvero, solo lui.
Hai provato a sentirlo?
So che ha chiesto di me più volte. Sono informata su come sta, ma i miei non vogliono che io gli scriva o vada da lui. Ma appena potrò scapperò in Sudafrica a trovarlo, prenderò un cazziatone, ma mi manca, mi manca davvero tanto. Tante volte l’ho sognato, gli avrei voluto dedicare la medaglia di Rio, ma se lo dici in giro succede un casino.
Sei legatissima alla tua famiglia. Quanto ti senti ancora figlia?
Tantissimo. Loro sono supereroi, davvero. Mio padre ha un’azienda, ma mi fa da manager, perché io non voglio un’agenzia, voglio solo mamma e papà. Anche per l’esperienza di Oscar, io non voglio essere una macchina da soldi, voglio solo fare cose che hanno un senso.
Io so quanto hanno sofferto i miei genitori. Per questo dico a ogni mamma: fai il vaccino a tuo figlio, non per lui, ma per te stessa
Quanto ti fa arrabbiare la gente che parla a sproposito contro i vaccini?
Tantissimo. Mi fa arrabbiare che la gente si informi dagli articoli su Facebook e non da fonti vere, che credano alle dicerie più che ai medici. Io con la mia vitalità sembro una deficiente, ma il 95% delle persone che hanno avuto quello che ho avuto io muoiono, gli altri restano distrutti e depressi. Io so quanto hanno sofferto i miei genitori. Per questo dico a ogni mamma: fai il vaccino a tuo figlio, non per lui, ma per te stessa. Vuoi veramente soffrire così tanto? Se la popolazione fosse vaccinata, la meningite sarebbe debellata. Come si fa a non volerlo? Come?
Cos’è per te avere vent’anni, Bebe?
Sto crescendo troppo in fretta, mi sto perdendo alcune cose, ho appena fallito la teoria all’esame per la patente. Ma mi è arrivata l’automobile, devo darmi da fare.
Sei andata a vivere da sola?
BEBE Vivo con un ragazzo iraniano, a Treviso, fa il fotografo, abbiamo una stanza a testa e una volante per gli stagisti di Fabrica, dove lavoro. È figo, vivere da soli, ti senti più in controllo, più responsabile, anche se alla fine la mamma la chiamo lo stesso, se serve.
Mi fai una lista di cose che vuoi fare prima di compiere trent’anni?
Vincere l’oro a Tokyo, sia individuale sia a squadre, vorrei creare il para pentathlon, andare ai Giochi nel 2024 e portare a Milano quelli 2028, facendo parte del comitato organizzativo. E sono seria quando dico che a ottobre 2028 voglio candidarmi come presidente del CONI e unire le federazioni olimpica e paralimpica, come già succede nella scherma. Dovrebbe essere così per tutti gli sport, Totti dovrebbe allenarsi ogni tanto con la nazionale calcio amputati.
Malagò, attuale presidente del CONI, che cosa pensa della tua candidatura?
Mi chiama già presidente, mi chiede: “Bebe, quanti anni mi dai?”, e io gli rispondo: “Scalda la poltrona che arrivo”. Ah, e vorrei anche diventare il capo di Sky Sport.
Tutti sogni di lavoro. E la vita privata?
Voglio andare a vivere a Milano, vorrei che mia sorella piccola venisse con me, si deve dare una svegliata e io posso aiutarla. Vorrei tanto che i miei fratelli trovassero la loro strada.
E un fidanzato?
Quello non si può programmare, ho troppe cose da fare, non potrei dedicare a qualcuno del tempo come si deve. So solo che vorrei adottare dei bambini, che ne so, uno nero, uno cinese, uno amputato. Mi piacciono i bambini, so quanto nella vita conti avere una famiglia che funziona bene e vorrei dare loro questa opportunità.
Vorrei adottare dei bambini, che ne so, uno nero, uno cinese, uno amputato
Ti informo però che Alex Zanardi ti ha tradito, ci ha detto che hai un fidanzato.
Ma lui mi prende per il culo, anche perché spesso ha detto, scherzando, che lui vorrebbe essere il mio fidanzato. E poi di sicuro non lo vengo a dire a voi, non sopporto gli atleti che diventano personaggi di gossip. Va bene se fai la showgirl ma il mio ruolo è diverso e già troppe volte hanno detto cazzate su di me: mi fotografano col mio migliore amico e diventa il mio fidanzato e a momenti ci ho fatto un figlio.
Immagina di prendere questa rivista in mano quando avrai quarant’anni: cosa vuoi dire a quella Bebe?
Che spero di aver fatto tutto quello che sogno, la mia unica, vera fobia è non riuscirci. A quarant’anni voglio prendere questo Rolling Stone e mettere la spunta a tutte le cose che ti ho detto. Sai qual è uno dei miei film preferiti? In Time, perché mi ricorda che una giornata purtroppo ha solo 24 ore.
Altri film che rappresentano Bebe?
Mamma mia, perché lo guardavo venticinque volte al giorno quando ero in ospedale, insieme a I Cesaroni e a Una mamma per amica, in continuazione. E Point Break. Quello nuovo, eh.
E quello vecchio?
Mai visto.
Devi guardarlo! E quello nuovo, perché?
Perché lui ha otto missioni da completare e piuttosto che non farcela preferirebbe morire.
Mi ha colpito che citi Lucio Fontana tra i tuoi artisti preferiti.
Sono un grafico e mi piace il minimalismo. Se dovessi fare un tatuaggio…
Non ne hai ancora fatti?
No, mia mamma non vuole, ma io mi sarei riempita di tatuaggi, uno per ogni viaggio. Invece lei mi fa comprare i Pandora charm: direi che non è la stessa cosa. Per esempio mi sarei tatuata una caipirinha, in onore di Rio. Comunque, Fontana perché mi piacciono le cose semplici. Lui non ti dice cosa vuol dire un taglio. Sei tu che devi darti una svegliata e capire.
Mi sembra un pensiero molto Bebe. Senti, ti ferisce la gente cattiva sui social?
Non mi faccio problemi. Nemmeno le patatine e la Nutella piacciono a tutti. Gli hater mi fanno capire quanto sono diventata una persona normale e non una persona con una disabilità, perché un disabile non l’offenderesti mai come offendono me. Poi, se uno mi insulta perché dico “vaccinatevi”, io purtroppo la cura per l’ignoranza non ce l’ho.
Bebe, se esistesse un pulsante per cancellare la tua meningite, lo premeresti?
No, io sto bene così. Ma faccio queste battaglie perché penso agli altri.