Ieri sera sul grattacielo Pirelli, sede della Regione Lombardia e primo edificio che chi esce dalla Stazione Centrale di Milano si trova di fronte, c’erano alcune finestre illuminate a comporre la scritta “Family Day”. Era il 22 gennaio. Oggi, 23 gennaio, una serie di manifestazioni in tutta Italia – Milano compresa – stanno spingendo perché un disegno di legge che tra tre giorni andrà in Senato non finisca nel nulla.
Quando nel 2007 ci fu il primo Family Day, la manifestazione “in difesa della famiglia tradizionale”, era in risposta al disegno di legge dei DICO, che riconoscevano una serie di diritti alle coppie stabilmente conviventi sia eterosessuali che omosessuali. Cadde il mondo. Le principali organizzazioni cattoliche scesero in piazza a difesa della famiglia “così come indicata nella costituzione” (nella costituzione non si fa riferimento a mariti e mogli, ma a coniugi). Nel polverone generale, i DICO vennero accantonati – sottolineiamo che non piacevano neanche alle associazioni per i diritti LGBT.
Il 30 gennaio 2016 ci sarà a Roma un nuovo Family Day, questa volta contro il DDL Cirinnà, che introduce le unioni civili anche per le coppie omosessuali ed estende la step-child adoption (l’adozione dei figli che il partner avuti in una precedente relazione, già possibile per le coppie eterosessuali) alle coppie dello stesso sesso. Le risposte contro questo DDL sono partite con “la step-child adoption rischia davvero di portare il Paese verso l’utero in affitto, verso il mercimonio più ripugnante che l’uomo abbia saputo inventare” (Avvenire) per passare a “E allora anche la poligamia” – commento rivolto da Paolo Liguori direttamente alla Senatrice Monica Cirinnà durante un’intervista a TGCom, la cui risposta è stata un laconico e condivisibilissimo sguardo di WTF?!. Oggi sui giornali si parla di 6.000 emendamenti presentati al Ddl Cirinnà, 5.000 solo dalla Lega. Intanto, il Premier Renzi dichiara che questa legge va fatta.
La scelta della giunta di centro-destra di aderire alla manifestazione del Family Day illuminando in quel modo il Pirellone, simbolo dell’intera regione Lombardia e anche uno dei simboli della città di Milano, non è solo discutibile, ma è un vero e proprio affronto ai cittadini favorevoli alla più gioiosa delle leggi: quella che stabilisce che una coppia di persone che si amano di poter aver riconosciuto uno status giuridico, e i diritti che ne conseguono. Di quale sesso siano è davvero ininfluente.
L’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale a non riconoscere questo diritto – mentre la maggior parte delle nazioni già riconosce i matrimoni. È un paese in cui 7.513 coppie dello stesso sesso unite da un legame affettivo di tipo coniugale (dati Istat del 2011) sono inesistenti di fronte alla legge. Un paese in cui i promotori della famiglia tradizionale hanno il diritto (sacrosanto, sia chiaro) di divorziare, risposarsi, adottare i figli di nuovi compagni, mentre altre persone non posso neanche veder riconosciuta la loro relazione. La scritta sul Pirellone dice questo: non ci piace che tutti abbiano gli stessi diritti.
Oggi più che mai è importante scendere in piazza, ma anche manifestare sui social, discutere in casa o ovunque siate sulla vostra volontà di veder riconosciute le unioni civili tra coppie dello stesso sesso. Anche noi, con la stessa forza con cui abbiamo festeggiato la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la costituzionalità su tutto il territorio dei matrimoni gay, manifestiamo il nostro desiderio di vedere questo diritto riconosciuto.