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Il ritorno del porno al cinema, tra pissing e BDSM

A Bologna torna "Ce l’ho porno", la rassegna di cortometraggi pornografici che vuole farci vedere il porno come un genere cinematografico 'normale'. Abbiamo visto i film di quest'anno in anteprima

Nel 2020 i maggiori festival di cinema porno, come il San Francisco PornFilmFestival dell’omonima città californiana, si sono tenuti online per via della pandemia. Alcuni hanno optato per una versione ibrida (per esempio il rinomato Pornfilmfestival Berlin), altri ancora non si sono tenuti affatto: così realtà indipendenti locali come Vieni? Catania PornFest, fermatosi dopo la prima edizione del 2019, o l’Hacker Porn Film Festival che si teneva ogni primavera a  Roma dal 2017 e che propone eccezionalmente un’edizione invernale dall’1 al 5 dicembre prossimi.

A Bologna, presso il TPO – laboratorio di arte, cultura e politica –  le persone incuriosite e interessate al genere avranno la possibilità di partecipare in presenza o da remoto alla serata curata dal collettivo Inside Porn, Ce l’ho porno (25 novembre), che si inserisce nel Ce l’ho Corto Film Festival (dal 24 al 28 novembre), una rassegna dedicata ai cortometraggi. In mezzo a film di registi italiani e stranieri under 30, film di animazione e videoclip autoriali, troviamo una sezione dedicata alla pornografia, che rende il tutto decisamente più interessante. Questa trasversalità ha infatti il pregio di inserire il linguaggio pornografico in un contesto più ampio e anche ribadire che esiste un porno autoriale.

“Negli ultimi anni abbiamo assistito alla diffusione di una pratica che ha pervaso ogni ambito della nostra vita: la gamification“, affermano le fondatrici di Inside Porn Maria Giulia Giulianelli, Giulia Moscatelli e Arianna Quagliotto. “In un’epoca in cui la sessualità viene ancora vista come un tabù, riappropriarsene sotto la bandiera della giocosità e dell’ironia, sbrigliandola dalle scienze e riportandola sull’aspetto più umano del divertimento, diventa funzionale alla circolazione di liberi discorsi intorno al sesso e a ciò che più ci piace di esso. Quest’anno abbiamo deciso di parlare di sessualità sotto uno sguardo sex positive, dove a essere dominante è proprio la voglia di sperimentare attraverso il corpo e la fantasia, il gioco erotico, il linguaggio ironico”.

Dieci i film in concorso nella sezione “Ce l’ho porno” 2021 di cui due italiani: Waiting (2021) diretto dalla misteriosa Morgana Mayer e NatiAnal Pornographic (2021) di Diego Tigrotto, noto attivista nell’ambiente sex positive romano e nazionale.

Ho visto i corti porno in anteprima e ammetto che ogni volta che guardo questo genere di film la sorpresa è tanta. La domanda che mi pongo sistematicamente è: che cos’è la pornografia? Siamo abituati a pensare al porno come una sequenza di primissimi piani di genitali, penetrazioni ed eiaculazioni di vagine (squirting) o peni (il celebre cum o money shot che contraddistingue la conclusione di una scena). Nei film in concorso il focus non erano i genitali o le penetrazioni, eppure questo non ha tolto la carica erotica. Non ho però riscontrato conflitto, ambiguità, oscenità intesa come momento di rottura con la norma.

Ho come l’impressione che il sex positive venga concepito da queste produzioni come se l’obiettivo fosse quello di farsi accettare dalla massa, anziché metterla a disagio per provocare una riflessione attraverso turbamento ed eccitazione. Anche quando vengono messe in scena pratiche care al BDSM, per esempio l’uso di aghi e lame in Pink lemonade (USA, 2021, Mahx Capacity) o l’ormai diffuso shibari presente in My element water (Germania, 2021, Swen Brandy) e Human time – part 1 (Regno Unito, 2021, Marcus Quillan), sembra di vedere degli esercizi di stile che non aggiungono granché alla relazione tra i personaggi né amplificano la tensione sessuale.

Ho invece trovato particolarmente interessante il documentario statunitense Piss Off X (2021, Henry Baker), che racconta il feticismo per il pissing (urinarsi e urinare addosso ad altre persone e persino bere l’urina) del performer Athleticpisspig, che ha pubblicato online quasi 600 video di lui in giro per il mondo che si piscia addosso in luoghi pubblici o piscia addosso ad altri. Organizza veri e propri happening urinari con altri uomini e sperimenta l’effetto che la sua perversione ha su chi guarda. Uno dei leitmotiv è “se non lede nessuno, che male c’è?”. Lo stesso regista si chiede: è porno o arte? Qual è la differenza?

Originale e conturbante anche pornlife 2.0 (Germania, 2019, Lily Lu). “Mi trovo da qualche parte tra sottoculture, tatuaggi, modifiche del corpo e rituali moderni del nostro tempo. Rinuncio a qualsiasi tipo di limitazione di genere, vita, società, la realtà esterna di ciò che chiamiamo terra e qualsiasi altra cosa che circonda il mio corpo o la mia mente”, dice di sé Lily Lu. Sarebbe potuto essere un videoclip dei Prodigy per la colonna sonora e lo stile di ripresa. I due protagonisti (tra cui lo stesso Lily Lu) sono l’emblema della body modification: completamente tatuati – compresi volto e genitali, estensori ai lobi delle orecchie, lingua biforcuta, piercing su varie parti di corpo, lenti a contatto che rendono lo sguardo vuoto, come quello degli alieni nei film. Eppure se al loro posto ci fossero stati due performer classificati mainstream, forse non avrei considerato questo porno singolare. La peculiarità di pornlife 2.0 non sta nelle pratiche inscenate (masturbazione vulvare, vaginale e anale con un dildo, poi penetrazione col pene ed eiaculazione finale: una scelta da cliché) quanto nelle caratteristiche dei performer e nelle scelte registiche.

La Germania spadroneggia: oltre ai film sopra citati anche l’antologia Urban Smut (Germania, 2020, Finn Peaks, Katy Bit, Theo Meow, Jo Pollux, Candy Flip) e Baby (Germania, 2018, Evie Snax), accomunati da queerness e ambiente urbano post industriale. Soave e leggero Rubber (Regno Unito, 2020, altSHIFT) con due performer molto attive nelle produzioni indie porn e volti noti del team di Erika Lust: Kali Sudhra e Maria Riot.

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