Mario Balotelli torna a far discutere, ma questa volta non si tratta di freccette lanciate adosso ai compagni di squadra, né di sparatorie a salve in centro a Milano. L’ormai ex golden boy del calcio italiano ripercorre la sua carriera, osservando i suoi trascorsi in Serie A attraverso una lente spesso sottaciuta ma che, se pesata con la giusta tara, può aiutare a comprendere la parabola ambigua di un talento cristallino che, a detta di molti, ha sprecato molte delle occasioni che gli sono state concesse.
Nella veste inedita di editorialista per il mensile sportivo So Foot, il numero 9 del Nizza ha scritto ricordando i tristemente frequenti episodi razzisti di cui l’attaccante era vittima quando giocava con le casacche di Inter e Milan. Non di rado, infatti, capitava che ogni passaggio, stop o tiro di Balotelli fosse accompagnato da fischi e versi scimmieschi, pratica ormai tanto diffusa fra le curve da essere banalizzata alla stregua di una goliardata da stadio, ma che nel caso di Super Mario raggiunse una frequenza quasi abitudinaria. Troppo golosa per i tifosi avversari l’occasione di strappare quei 15 minuti di fama collettiva provocando un calciatore che dell’autocontrollo non ha mai fatto il suo punto forte, se poi il calciatore oltre che a essere nero è anche italiano i 15 minuti di celebrità potrebbero anche diventare trenta e nessuno vorrebbe perdere l’opportunità di incoronarsi tifoseria più becera d’Italia.
«In certi stadi mi urlavano ‘non esistono neri italiani’, io sono la conferma del contrario. Anche se a tutti gli effetti, per la legge, io sono diventato italiano solo a 18 anni. È una legge sbagliata, forse è anche per quello che ancora oggi, alcune persone, vedono il nero come il colore del diverso, dell’inferiore, dell’errore in mezzo alla fotografia della squadra», scrive Balo su So Foot, toccando in colpo solo il mondo del calcio come della politica. «Di certo – continua l’editoriale – se fossi stato bianco, avrei avuto meno problemi. Avrei combinato comunque qualche casino di troppo? Probabilmente sì. Avrei avuto comunque atteggiamenti sbagliati sul campo di gioco? Probabilmente sì. Mi avrebbero perdonato tutto più in fretta? Sicuramente sì. L’Italia non è un Paese razzista, ma i razzisti ci sono. Il cambiamento è nelle mani delle nuove generazioni, ai nostri figli bisogna insegnare che siamo tutti uguali, nonostante le diversità apparenti».
Balotelli non ha perso l’occasione, inoltre, per proseguire il suo attacco contro la Lega Nord là dove lo aveva lasciato dopo l’elezione al Senato dell’imprenditore nigeriano Toni Iwobi, candidato con la fazione guidata da Matteo Salvini – “Un partito non proprio inattaccabile dal punto di vista del razzismo”, scrive l’attaccante. «Quel signore è stato usato e lui non se n’è accorto. Perché così la Lega può dire che esistono neri italiani che la pensano come loro. Il pensiero giusto però dovrebbe essere: esistono neri italiani. Punto. Quello ancora più giusto: esistono italiani. Stop. Quel senatore non può essere fatto passare come un’eccezione, altrimenti siamo di nuovo daccapo. Fosse stato eletto con qualsiasi altro partito, non ci sarebbe stato niente niente da dire».
Immaginate, a soli 18 anni, di essere improvvisamente catapultati sulle prime pagine di tutti i quotidiani, sportivi e non. Immaginate di essere gettati in pasto ai media non soltanto per il vostro talento, ma perché il colore della pelle abbinato alla nazionalità italiana viene consapevolmente strumentalizzato per vendere più copie, per scompigliare il ventre basso del Paese quanto più possibile. Difatti, non era la prima volta che una giovane promessa del calcio Made In Italy attirava su di sé i riflettori sin dalle sue prime partite, ma con Balotelli era diverso. Balotelli non era solamente un attaccante dalle enormi potenzialità tecniche e atletiche, non era solo il numero 9 di cui la Nazionale aveva disperatamente bisogno: Balotelli incarnava una ‘crasi’ inconcepibile per il mononeurone che spesso guida le gesta della tifoseria e dell’Italia più primordiale. Balotelli era italiano e nero.
Se certamente Mario non è stata la prima vittima del turbinio razzista – prima di lui Liverani e Ogbonna – Balotelli fu il primo calciatore a ricevere un’esposizione che andava ben oltre il campo di gioco. Contro di lui si scagliò una pressione che nessun diciottenne dovrebbe avere: paparazzi piantati sul marciapiede sotto casa e giornalisti pronti a romanzare anche il minimo starnuto dell’allora numero 45. Mettiamo insieme a tutto questo una capacità pressoché nulla di gestire il proprio carattere burrascoso ed ecco un candelotto di dinamite pronto a esplodere; perché, se da un lato Mario non disdegnava la serata con gli amici il giorno prima della partita, dall’altro l’amplificatore cui era esposta ogni sua bravata non ha fatto altro che aumentare ed esacerbare le premature aspettative riposte sulle sue spalle. L’Italia allenata da Prandelli non vince? La colpa non era della mediocrità in cui annega il nostro calcio, la colpa era solo sua, dell’italiano nero.
L’editoriale su So Foot non è una giustificazione, ma con le sue parole Balotelli cerca di sottolineare come, se la sua pelle non fosse stata del colore ‘sbagliato’, le attenzioni su di lui sarebbero state altre. Se fosse stato ‘semplicemente italiano’, forse, nessuno si sarebbe stupito delle prestazioni altalenanti, certamente non sarebbe diventato un capro espiatorio o condannato alla gogna, come ad esempio non è mai successo a Cassano – anche lui non proprio l’esempio dell’atleta perfetto. Se poi, anche ora che oltralpe scrive la storia del Nizza (miglior marcatore degli anni 2000 con 38 reti in 55 gare), Balotelli viene ‘adoperato’ come ragione del naufragio dello ius soli da Aldo Cazzullo, in un editoriale che rimarrà nella storia per la concentrazione di stereotipi razzisti, allora non c’è da stupirsi della curiosità morbosa che ancora continua a perseguitare l’attaccante. Eleggere Balotelli simbolo di un fallimento politico e umano, non è stato solo pretestuoso, ma anche irresponsabile da parte di un giornalista che, in teoria, dovrebbe aiutare a sbrogliare le viscere con cui sempre più italiani sembrano ragionare e non, come invece ha fatto in più occasioni – epocale il dissing con Bello Figo – continuare a nutrire lo stomaco gorgogliante di xenofobia, giustificando l’odio razziale e propinando letture volutamente erronee di una legge che avrebbe conferito la cittadinanza ai bambini delle scuole elementari e non agli ‘invasori’ a bordo dei barconi, come al contrario lasciava intendere Cazzullo. Abbiamo fallito l’opportunità di portare l’Italia nel 2018? Bene, la colpa non è stata dei partiti terrorizzati di perdere voti approvando lo ius soli, ma di Balotelli, simbolo del migrante ingrato, lui che ha sputato sull’occasione di trascinare solo sulle sue spalle squadre modeste.
Che Balotelli non fosse il Messia del calcio italiano come era stato dipinto è ormai, forse, evidente. Ma Balotelli fa il calciatore, anche se non gli è mai stato concesso di essere soltanto quello. Why Always Me?, scriveva sulla maglia ai tempi del Manchester City. La risposta, invece, l’ha scritta sulle colonne di So Foot.