Rolling Stone Italia

Bianchi, Rosso e Pallone

Una giornata a Vicenza per sostenere la Lanerossi, tra cori, tamburi e bicchieri di vino. Perché, grazie a Renzo Rosso e a una cordata di imprenditori locali, la città è pronta a tornare nel posto che le spetta nel calcio italiano
Da sinistra: mister Francesco Guidolin, Paolo Rossi, Roberto Baggio e Renzo Rosso in piazza della Signoria nell'illustrazione di Germano Poloni

La prima notte di ritiro, ad Asiago, Mimmo Di Carlo venne da me e mi consigliò di non addormentarmi. Mezz’ora dopo c’erano 7000 persone sotto la mia camera, e fino all’alba non hanno smesso di cantare». Pasquale Luiso ripete almeno cinque volte la parola «incredibile», rievocando l’accoglienza del popolo vicentino nei suoi confronti. Era l’estate di 21 anni fa e il Toro di Sora – centravanti anni ’90, autore di memorabili gol in rovesciata e altrettanto coreografiche esultanze a suon di Macarena – approdava in biancorosso dopo aver girato le province di mezza Italia. «La passione che c’è da queste parti, l’attaccamento alla squadra è pari solo a quello dei napoletani».

Che, però, non bevono tutti questi spritz. Il giorno della partita il bancone dell’osteria Pitanta è preso d’assalto. Dalla cucina non si arresta la marcia verso i tavoli degli spunciotti – una versione locale delle tapas –, l’odore di fritto fa frizzare l’aria e si deposita sulle magliette di Mendez e Martinelli alle pareti. La bottiglia di Lugana non ha tregua. D’altra parte “i biancorossi sono gran bevitori” e anche stasera torneranno a casa “insachetà” (ubriachi, in dialetto, ndr), come recita un inno apocrifo del club. Lungo corso Palladio, con le sue eleganti vetrine e i caffè da 1 euro e 20, è tutto un fluire di sciarpe. Passato il teatro Olimpico, si è già quasi allo stadio Menti, il teatro delle partite dei ragazzi oggi allenati dal veneziano Michele Serena.

I tempi in cui il pittore-telecronista Ferruccio Gard raccontava le imprese della rivelazione biancorossa sono lontani, come quelli in cui gli inviati di Quelli che il calcio dovevano dribblare con lo sguardo il palo che per anni ha impallato le riprese dalla tribuna. Una cosa non cambia mai, il calore della gente: chi con il sedere appoggiato su un giornale e chi in piedi a urlare imprecazioni in dialetto, i seggiolini dell’arena vicentina non sono mai lasciati vuoti. «Settemila abbonati (record per la Serie C, ndr) sono una cosa seria, da fare invidia a qualche squadra di A», commenta Sebastiano Berlato, per tutti Seby, il leader dei Derozer, band che ha fatto la storia del punk-rock italiano. «Io sono entrato al Menti nel 1974 e non ne sono più uscito, mi sono fatto 30 anni in Sud senza perdermi una partita. Oggi in città come in provincia (da sempre attivissima nel sostenere la squadra, ndr) le braci della passione hanno ripreso ad ardere. Il Vicenza è la nostra religione».

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Il racconto video della nostra giornata a Vicenza, con il backstage del calendario 2019 della squadra a cura di Julian Hargreaves (foto) e Ildo Damiano (stylist)

L’attuale sacerdote è nato una cinquantina di chilometri più in giù lungo il corso del Bacchiglione, a Brugine, e vive nella vicina Bassano. Renzo Rosso è il presidente di OTB, holding che controlla alcuni tra i più prestigiosi marchi di moda in Italia, e che dà lavoro a 5mila persone sul territorio. Quest’estate ha rilevato il Vicenza, sull’orlo del fallimento, e da allora l’aria alle pendici del Monte Berico si è fatta elettrica. Anche perché negli ultimi giorni alla compagine si sono uniti altri nomi importanti del territorio: undici aziende locali e nazionali che hanno deciso di entrare in società, per assicurarle un futuro ancora più prestigioso. 

Al centro del nuovo progetto, sin dal simbolo sulle maglie – ovviamente griffate Diesel –, la R di Lanerossi, che corrisponde alla doppia iniziale del patron. L’immagine e il destino del lanificio e quello del club si sono legati nel 1953, quando Rodolfo Gavazzi acquisì la squadra per conto della sua azienda tessile, dando vita a quella che da molti – erroneamente – è considerata la prima sponsorizzazione in Italia, e che invece fu molto di più. Quella gestione, che avrebbe portato a un ventennio di soddisfazioni nella massima serie, rappresenta ancora oggi l’esempio da seguire. «Ma dobbiamo andarci calmi: la C è un campionato combattuto, quasi selvaggio», ci aveva raccontato Renzo Rosso alla presentazione delle nuove divise di rappresentanza del Milan in piazza San Babila, dopo aver ricambiato con un abbraccio il saluto e il “Renzaccio!” rivoltogli da Gennaro Gattuso. «Siamo fortunati a poter contare su un popolo che è sempre con noi, a questi livelli fa la differenza».

Vedere la gente che si mette in marcia verso lo stadio è la soddisfazione più grande. «Una sensazione pazzesca, che ti fa dimenticare ogni preoccupazione», dice Rosso, che da ragazzo giocava ala destra nella squadra del paese, con risultati non indimenticabili. «I veneti sono gente vera, che mette l’anima in quello che fa, anche nel calcio. Per questo il Vicenza per me è anche una grande responsabilità, perché so quanto la gente ci tenga alla squadra. Dopo le sconfitte cerco di non leggere i commenti sui social, perché se no ci rimango troppo male».

La storica curva del Menti, vista da Germano Poloni

“Come han detto? Non ci credo”. Al telefono con un compagno, in un bar di piazza dei Signori, Stefano Giacomelli apprende di aver appena rischiato un multone per divieto di sosta. «Gli ha detto che era la mia auto, e mi hanno graziato», dice il 28enne di Spoleto, qua dal 2012. «Non scrivere che sono un raccomandato, ma ho un rapporto speciale con questa città. Vicenza è la mia nazionale». Quando passeggia assieme ai compagni sotto la Torre Bissara, sono in tanti a fermarli per un saluto (soprattutto quando le cose vanno bene). «Tutte le volte per me è una gioia», dice Rachid Arma, che è nato ad Agadir e ha fatto gol su tutti i campi del Nord-Est. «A Vicenza c’è qualcosa di speciale per un calciatore».

Quarant’anni prima sulle sue stesse zolle danzava Paolo Rossi, l’eroe del Mundial spagnolo. «Nel ’78 arrivammo secondi dietro alla Juventus, se ci penso ancora mi emoziono. In quel momento capii cosa fosse davvero il calcio, quanto possa entrare nelle viscere delle persone», racconta Pablito, nominato nelle scorse settimane brand ambassador della società. «Ho vissuto qua trent’anni, questa è casa mia. Il Vicenza deve tornare dove merita una città che respira calcio sette giorni alla settimana. Io cercherò di dare il mio contributo». Non è l’unico pallone d’oro passato da queste parti. Nato a Caldogno, dove oggi l’LR Vicenza di Rosso si allena davanti all’immancabile gruppo di pensionati che commentano ogni tiro a rete di Mantovani e compagni, Roberto Baggio è un figlio di questa terra. «Anche allora eravamo in C, ho ancora negli occhi quel ragazzino che fa un doppio passo sulla fascia e se ne va», racconta Vitaliano Trevisan, scrittore e sceneggiatore vicentino.

Mentre l’odiata Verona«mio padre era della celere e sapeva che quello del derby (di recente rievocato anche dal Guardian in un articolo che racconta la disfida “mati against magnagati”, ndr) non era un giorno qualunque, e che la città sarebbe stata paralizzata», aggiunge Trevisan – vinceva il suo primo scudetto, i biancorossi progettavano la resurrezione dal purgatorio della C grazie a un prodigio col codino. «Io ho visto due numeri uno al mondo in azione, sono fortunato», dice Pancio Cantele. Con alcuni amici nel 1978 ha fondato i Vigilantes, che per oltre 30 anni hanno portato il vessillo del boia in giro per la penisola. «Quante notti in piedi per preparare le coreografie, quei cartoncini bianchi lungo tutto lo stadio contro il Napoli». Pancio – oggi Slo del Vicenza, ossia mediatore del rapporto tra società e tifosi – sfoglia l’album dei gloriosi anni ’90, quando la squadra del veneto Guidolin, di Otero, Lopez e Ambrosetti – allora sponsorizzata da un’altra azienda vicentina del settore abbigliamento, Pal Zileri – vinse la Coppa Italia, e arrivò fino al penultimo atto della Coppa delle Coppe, arrendendosi al Chelsea di Vialli e Zola.

Pasquale Luiso zittisce Stamford Bridge durante la semifinale di Coppa Coppe del 1998, illustrato da Germano Poloni

«Il mio rimpianto più grande: se ci fosse stato il Var avremmo vinto, visto che mi hanno annullato un gol validissimo», dice Luiso, che prima di quell’episodio aveva fatto saltare per aria i 5mila vicentini migrati a Stamford Bridge con una fucilata alle spalle del portiere e il dito alla bocca a zittire gli increduli supporter londinesi. «A distanza di anni non ho mai rivisto le azioni di quella partita, ci soffro troppo», dice Seby, che con i Derozer ha inciso Fedeli alla tribù, brano dedicato a quella sfortunata trasferta oltremanica. Dopo tanti anni difficili – qua viene in aiuto un’altra cantante-tifosa, Francesca Michielin, che in La serie B ha raccontato l’ultima dolorosa retrocessione del club nel 2001 – il punk rocker è convinto che finalmente “il calcio l’é tornà casa”, per parafrasare il celebre motto del football di sua maestà. «Le vecchie proprietà avevano spolpato le casse e la storia del Lanerossi, riducendo al lumicino la passione dei tifosi, che pur non hanno mai mollato. Ma ora c’è fiducia, stiamo tornando».

«Abbiamo fatto un progetto a cinque anni», dice Renzo Rosso. Non vuole smorzare l’entusiasmo dei suoi sostenitori, ma ricordare che «il mio primo obiettivo è mettere assieme una città e una provincia attorno alla squadra, senza pazzie». In un momento di manifesta difficoltà per il calcio in Italia, soprattutto nelle serie minori, lui ci sta riuscendo, coniugando una visione moderna e manageriale del pallone, inedita o quasi per l’Italia, con quel gusto un po’ rétro per il pallone come rito e aggregatore sociale che in provincia ancora resiste. «I tifosi saranno sempre la mia priorità, se loro sono con noi faremo tanta strada», conclude Mr. Diesel. Magari fino a ripetere un giorno quella sfida con i multimiliardari Blues del Chelsea, e rifarsi. «Se si gioca io ci sono», scherza Pasquale Luiso. «Quando il Vicenza chiama, dico sempre di sì».

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