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Cecilia Zandalasini goes to America: La mia Casa Bianca

La nostra inviata speciale dal mondo dell'NBA al femminile racconta la cerimonia alternativa delle sue Minnesota Lynx per la vittoria del titolo. Niente visita a Donald Trump, ma una indimenticabile iniziativa di beneficienza

Dopo la prima puntata, con la consegna dell’Anello per la vittoria dello scorso campionato WNBA con le sue Minnesota Lynx, ecco la seconda puntata del diario che Cecilia Zandalasini, la più forte giocatrice italiana di basket, tiene per Rolling Stone dagli States. Questa volta racconta una bella iniziativa della sua squadra, che, dopo il mancato invito alla Casa Bianca da parte di Donald Trump – tema che ha creato non poche polemiche anche tra i colleghi maschi -, hanno deciso di celebrare ugualmente, con una bella iniziativa benefica.

Come tradizione, nelle leghe professionistiche americane, la squadra che vince il titolo di campione nella stagione precedente viene accolta dal Presidente degli Stati Uniti d’America a Washington D.C., per una cerimonia da tenersi in occasione della prima trasferta nella capitale. È un rituale a cui tutti gli atleti qui sono molto legati: l’occasione di visitare la Casa Bianca e di essere riconosciuti durante un evento ufficiale dalle massime cariche del Paese è un privilegio per pochi. Le Minnesota Lynx ci sono state, in passato. Quello dell’ottobre scorso è stato il quarto titolo negli ultimi sette anni, d’altronde. Quest’anno, però, non abbiamo ricevuto l’invito per andarci.

L’organizzazione delle Lynx ha voluto ugualmente trovare un modo per permetterci di rendere la nostra visita a Washington unica, in modo che potessimo conservare un ricordo memorabile e lanciare un messaggio positivo e solidale. Così la nostra Casa Bianca è diventata la Payne Elementary School di Washington. Ed è stata una giornata davvero speciale. Infatti, insieme alla charity “Samaritan’s Feet”, fondata dal nigeriano Manny Ohonme e dalla moglie Tracie, abbiamo passato la nostra giornata in questa scuola dove il 30% dei bambini sono homeless e tutti provengono da famiglie povere.

Con le mie compagne ci siamo disposte a coppie e per un paio d’ore abbiamo distribuito nuove calze e scarpe ai bambini della scuola. Nel momento in cui si sedevano di fronte a noi, iniziavamo a chiacchierare, chiedendo loro di presentarsi e di raccontarci qualcosa, mentre noi li spogliavamo delle scarpe, lavavamo i loro piedini e li vestivamo con le loro nuovissime paia di calzature.

Era la prima volta che partecipavo ad un evento di charity del genere: qui le attività per la comunità sono da sempre un fondamento delle squadre professionistiche, come vediamo spesso con iniziative come “NBA Cares”. È stato super vedere l’entusiasmo dei bambini, e capire, almeno in minima parte, quanto fosse bello ed emozionante quel momento per loro. E di riflesso per noi.

Ci siamo poi spostate sul campo da basket all’esterno della struttura, dove abbiamo potuto giocare insieme e condividere un momento fantastico con loro, che si divertivano da matti a correrci intorno e a provare a fare canestro. Per non farci mancare il momento tradizionale, le Lynx hanno poi organizzato, insieme a due senatori dello stato del Minnesota, un cerimoniale molto simile a quello che normalmente si svolge davanti al Presidente, con coach Reeve e Maya Moore che hanno parlato al podium ed il classico scambio di magliette.

È stato sicuramente un peccato non aver vissuto il cerimoniale classico, ma personalmente posso dire che celebrare il mio primo titolo WNBA con questa giornata è stata una emozione diversa e molto forte. E le compagne che sono state più volte alla Casa Bianca hanno confermato che questa occasione è stata addirittura più speciale delle precedenti.

Il giorno dopo abbiamo anche vinto la partita, che non guasta mai. E ci siamo godute la città impazzita per la vittoria dei Capitals nella Stanley Cup di hockey, primo successo di sempre della franchigia fondata nel 1974 (tutte cose scoperte la sera stessa, al mio esordio davanti ad una partita di hockey a cena). Insomma, questi due giorni a Washington difficilmente li dimenticherò. E in gran parte sarà per quei piedini profumati e quei sorrisi contagiosi.

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