Sono passati trentacinque anni dallo storico successo di Madrid contro la Germania, che ha regalato all’Italia la terza Coppa del Mondo della sua storia. Un trionfo che viene ancora raccontato come unificante, in grado di mettere insieme le diverse anime di una paese che pur non campando di pallone, spesso non riesce a pensare ad altro. Si, perché quella del Mundial, non è la storia di Paolo Rossi, o Dino Zoff, per non parlare di Enzo Bearzot, ma è quella di un gruppo in grado di trasformare sé stesso in appena un mese contro molteplici avversità.
Ad ogni bambino dello stivale la storia del 1982 è stata raccontata come si faceva con l’unificazione del paese nel XIX. Il racconto vuole che Cavour e Vittorio Emanuele II fossero sulla stessa linea di Garibaldi e Mazzini per riunire un paese diviso da secoli a causa della dominazione straniera e la stessa narrazione di forzata armonia ricorre per il Mondiale 1982. La verità è che già dal ritiro di Alassio il CT Enzo Bearzot si trovava sotto stato d’assedio: le mancate convocazioni di Beccalossi (Inter) e Pruzzo (Roma), avevano indispettito i tifosi di due piazze calde e i relativi giornalisti di riferimento.
Si, perché gli inviati delle testate nazionali riuscirono a dare il peggio nel mese della competizione. In un periodo nel quale la sovraesposizione mediatica non toccava neanche minimamente i livelli dell’attualità, in Italia si era comunque riusciti a dare a una spedizione calcistica i toni di una costante polemica. Storia nota, ma che retrospettivamente non può che colpire, visto il risultato finale (e gli eventi ben più importanti dell’epoca, come la guerra delle Falkland tra Argentina e Inghilterra).
Eppure, come racconta Alberto Guasco, docente di storia contemporanea, che ha scritto il libro Spagna ’82. Storia e mito di un mondiale di calcio, i giornali mostrarono una particolare intransigenza. Figurarsi dopo i tre pareggi iniziali (Perù, Polonia, Camerun) e lo stentato passaggio del girone grazie alle reti di Conti col Perù – Pelé lo eleggerà miglior giocatore del torneo – e Graziani col Camerun. I quotidiani romani Corriere dello Sport e Il Messaggero si scagliavano perentoriamente contro il centravanti spuntato, Rossi e il CT, reo di averlo convocato al posto di Pruzzo. Il fondamento per criticare sarebbe stato pure legittimo, visto che Rossi era tornato a giocare a calcio solo nella primavera 1982 dopo una squalifica di due anni per calcioscommesse, ma che le critiche più aspre fossero romane fa capire come si trattasse di una posizione presa in partenza.
Mentre la stampa chiedeva la testa di Bearzot ‘in corsa’, l’Italia si apprestava ad affrontare il girone dei quarti di finale. Il gruppo, però, riuscì a ritrovare lo smalto in vista del secondo girone, durissimo, contro Argentina e Brasile. Il topos lo conosciamo ormai e il successo del 2006 ce lo ha reso familiare. Nel momento di difficoltà, esce fuori la vera Italia. Il primo successo arrivò a Barcellona: 2-1 all’Argentina del 21enne Maradona (gli facemmo 23 falli in singola partita, record in un Mondiale), che proprio in quei giorni era passato dal Boca ai blaugrana per la cifra record di 7,5 milioni di dollari.
Poi il miracolo contro il Brasile di Tele Santana: 3-2 ai fenomeni nel caldo torrido dello Stadio Sarrià. Socrates, Zico, Cerezo, Eder e Falcao, piegati dalla tripletta del brocco (e truffaldino) Rossi. Una partita che sola vale il riscatto del pesante 4-1 nella finale del 1970, ultima volta in cui l’Italia ha rischiato di tornare sul tetto del mondo dopo la doppietta d’epoca fascista (1934, 1938). All’improvviso il titolo non sembra più un miraggio, e dopo 8 edizioni senza successi sarebbe un toccasana, soprattutto per il governo Spadolini, tutt’altro che solido e alle prese con dure trattative coi sindacati.
L’accoppiamento con la Polonia fu agevole, anche se nel 1982 si trattava de LA Polonia, miglior Mondiale di sempre (insieme al 1974) per la nazione baluardo del cattolicesimo nell’est Europa. A Barcellona Rossi tornò Rossi e in semifinale riuscì a rifilare agli avversari con una doppietta. Mentre nella desertica Siviglia sarebbe andato in scena uno dei più bei match della storia: Germania Ovest-Francia 3-3, vinta ai rigori dal Mannschaft.
Al Santiago Bernabeu, poi, l’apoteosi: col presidente della Repubblica Sandro Pertini a esultare in tribuna grazie alle reti del solito Rossi, di Tardelli e Altobelli, e al gol della bandiera di Breitner. E dopo il 3-1 si che possono partire le immagini indelebili, quelle che – come la spedizioni dei Mille, dell’incontro di Teano, I Promessi Sposi per l’unificazione – passano alla storia come la faccia ufficiale del Mundial: l’esultanza di Tardelli, il “Palla al centro per Müller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finito! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!!!” del grande Nando Martellini, la foto di Pertini, Zoff, Causio e Bearzot che giocano a carte accanto alla Coppa e tutte le altre. A 35 anni da quel successo sono le uniche che vogliamo vedere, anche se raccontano una splendida storia solo a metà.