Leandro Depetris, il baby fenomeno che poteva essere Messi | Rolling Stone Italia
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Leandro Depetris, il baby fenomeno che poteva essere Messi

"A 11 anni ero più famoso di Lionel. Poi abbiamo commesso tutti gli errori possibili". Storia del prodigio argentino che, nonostante il mancino perfetto e la 10 sulle spalle, "poteva essere" e non è stato mai

Leandro Depetris, il baby fenomeno che poteva essere Messi

Leandro Depetris e Leo Messi

“Quando sei giovane, le tue potenzialità sono infinite. Potresti fare qualsiasi cosa. Potresti essere Einstein, potresti essere Di Maggio. Poi arriva un’età in cui ‘potresti essere’ va a sbattere contro ciò che sei stato. Non eri Einstein, non eri niente. È un brutto momento”. Chissà se Leandro Depetris ha mai visto il film Confessioni di una mente pericolosa – regista George Clooney – e ascoltando i pensieri di Chuck Barris gli è passata davanti agli occhi tutta una carriera che “sarebbe potuta essere” e invece non è stata. Almeno, non tanto quanto le premesse.

Sì, perché il piccolo Leo dagli 11 ai 14 anni era un baby fenomeno in grado di oscurare Lionel Messi, l’attuale calciatore più forte del mondo che, oltre a innumerevoli vittorie sportive, quando guarda sulla mensola vede luccicare ben 5 Palloni d’Oro. “Ricordo che Depetris giocò in finale un torneo a Córdoba contro il Newell di Messi. La squadra di Depetris vinse. Dopo la partita, tutti i microfoni circondarono Depetris. Nessuno andò vicino a Messi” ha raccontato il compagno di squadra Franco Falleroni, il quale ha poi ricordato che “a Rosario c’era più rumore riguardo a Depetris, che era un anno più giovane di Messi”.

Peccato che il destino avesse in serbo per Leandro un futuro diverso, tanto che oggi a 31 anni e dopo aver faticato a trovare spazio nelle serie minori italiane con Brescia, Gallipoli, Sanremese, Porto Tolle, Triestina, oltre a molte argentine semi professionistiche, l’esperienza alla Trebolense – un club amatoriale di San Martín nella provincia di Santa Fe – lo ha lasciato senza contratto. Svincolato. Una ulteriore beffa, se si pensa che proprio in questi giorni Messi è stato incoronato come il Paperone degli sportivi con 127 milioni di dollari in guadagni totali.

Eppure, c’è stato un tempo in cui tutti avrebbero scommesso sul piccolo Depetris. In particolare il Milan, che rimase abbagliato da quel bimbo argentino magrolino che sgambettava sul campo da calcio di San Vicente, un villaggio di 5mila abitanti a 4 ore di auto da Buenos Aires. Ai match casalinghi migliaia di persone assiepavano le reti del campetto polveroso solo per ammirarlo. Rifiutato dai “pulcini” del Boca e del River giocava nell’Atlético Brown, una squadra mediocre illuminata dal suo talento. Franco Baresi lo notò grazie a una videocassetta e da quel momento decise di menzionarlo per il club di Silvio Berlusconi. È così che, quattro volte l’anno, Leandro partiva dallo sperduto paesino della pampa per volare alla Malpensa e poi essere accompagnato al campo da calcio per allenarsi e giocare con i rossoneri di pari età. E come se nulla fosse, cominciava lo show palla al piede, fra dribbling funambolici e gol d’autore. “Per il momento non c’è niente di scritto e non abbiamo parlato di soldi – minimizzò il padre Celestino Depetris – ci siamo solo impegnati sulla parola con Baresi”. Ma nel frattempo la famiglia stava già pensando a un trasloco italiano. Perché Leandro, nonostante 1,32 centimetri di altezza, 33 chili e il 33 di scarpe, non solo dimostrava di avere tecnica da vendere, ma anche le idee già molto chiare: “In campo mi piace divertirmi. Vorrei giocare una partita avendo nella mia squadra Rivaldo e Batistuta” dichiarò ai media italiani. E poi rilasciò una intervista al giornalista argentino Pablo Chiappetta intitolata “El futuro a sus pies” (Il futuro ai suoi piedi), nella quale si spinse oltre. Che cosa hai intenzione di fare da grande, Leandro? “Voglio essere un giocatore di calcio. Voglio essere come Maradona”. Non hai mai pensato di diventare un dottore o un avvocato? “Mai”.

Leandro Depetris con la maglia del Milan

Argentino, mancino, e con il 10 sulle spalle, rappresentava la gallina dalle uova d’oro anche per la stampa internazionale. Intanto, fra giornate in piscina e i cartoni animati di Tom e Jerry alla tv, il 12enne tifava Independiente (come El Pibe de oro) e dava spettacolo sul campo. Con il Milan, giocò in attacco davanti a 70mila persone insieme al figlio di George Weah e poi disse: “Ci siamo capiti al volo, eravamo in perfetta sintonia. Mi è sembrato che gli sia piaciuto giocare con me”. Con la stessa nonchalance segnò in maglia rossonera una rete da urlo in un match contro la Juventus e ritornato in patria due reti che diedero il trionfo al Brown nel campionato della Liga Rafaelina.

E allora come mai, mentre Lionel Messi con i blaugrana si trasformava in leggenda, Depetris spariva dai radar del calcio che conta, tanto da faticare a portare a casa uno stipendio?

Qualche anno fa il giornalista Lucas Bertellotti riuscì a intervistarlo per l’edizione spagnola di Goal.com, circostanza non facile visto che Depetris non ha social e anche poca voglia di rivangare il passato. È però interessante quel che disse nonostante le poche parole: “A 14 anni stavo per firmare in modo permanente, ma tutto è andato storto. Le decisioni prese da mio padre sono state sbagliate: andare in Italia in giovane età è stato brutto … non ho mai avuto problemi con alcol, droghe o di cattivo comportamento … ma avrei avuto bisogno di un aiuto psicologico, o più supporto dai miei genitori. Alla fine, abbiamo commesso tutti gli errori possibili”. Non solo il padre Celestino, però, sarebbe responsabile. Un altro “signore” – così definito da Leandro nell’intervista a Chiappetta – ne aveva infatti assunto le deleghe. Si tratta di Sebastian Braun, presidente della ISM (International Management Sport), organizzazione che in quegli anni era impegnata nello scovare talenti precoci e legata a un’altra stella argentina, Claudio Caniggia. Pare infatti che il suo entourage abbia chiesto al Milan un ingaggio molto alto, si parlò di 2 milioni di dollari l’anno al compimento dei 16 anni, e al rifiuto del club di via Turati il preaccordo venne stracciato.

Tornato in patria finì nella nona squadra del River e prima dell’esordio tra i professionisti una seconda chance si ripresentò attraverso l’interessamento dell’istrionico presidente del Brescia, Luigi Corioni, che lo volle personalmente far tornare in Italia nel gennaio del 2006. Il talento di Rafaela, passa così diversi mesi nella primavera di Luciano De Paola, prima di essere “scongelato” per l’ultima giornata di campionato dove in Crotone-Brescia 4-2, sigla uno dei due gol lombardi. Un predestinato, si pensa ancora una volta, peccato che per rivederlo in campo bisognerà aspettare l’arrivo sulla panchina bresciana di Serse Cosmi. A questo punto si mostra per quello che è, o meglio, per quel che ormai è diventato: un giocatore molto volenteroso, con ottima tecnica, ma che troppo spesso si intestardisce a giocare da solo e non riesce ad adattarsi agli schemi del calcio italiano; in più con un fisico che non può sopperire al resto delle mancanze (167 centimetri per 69 chili). Ma è certamente l’impostazione, sempre palla al piede dritto fino in porta, che comincia a risultare controproducente. Se dagli 11 ai 14 anni, infatti, la tecnica basta per mettersi in evidenza, dai 15 in poi anche la tattica ha la sua importanza. Ma lui, invece, continuava a prendere palla a centrocampo, cercando di sfuggire agli avversari che però, grazie all’organizzazione, lo neutralizzavano facilmente. Un altro aspetto da non sottovalutare, come detto, riguarda la fisicità. La meticolosità con la quale a Barcellona seguirono la crescita di Lionel Messi non fu replicata per Leandro Depetris nelle varie formazioni di basso livello nelle quali gli capitò di militare e il lavoro in palestra lo appesantì, facendogli perdere le caratteristiche in cui eccelleva: esplosività e agilità. Tanto che, a un certo punto, cambiò ruolo. Tornato al River gli venne tolto il numero 10 del fantasista – assegnato a un discreto trequartista come Diego Buonanotte – e si ritrovò spostato sull’ala, un ruolo poco consono a chi ha nell’indole l’attacco ma non il recupero di palla, per poi passare a mediano.

“A 11 anni ero più famoso di Messi” proseguì nel ripercorrere la sua storia davvero incredibile. “Uscivo dal campo e c’erano 2mila persone a vedermi. A 12 anni la folla voleva scattare a tutti i costi una foto con me, non mi lasciavano camminare in pace per la strada… con Messi abbiamo giocato l’uno contro l’altro in allenamento, eravamo molto simili in quel momento. Con il Newell’s, dovevamo andare in tour in Perù, con le squadre ’87 e ’88. Messi non poteva andare, quindi ho giocato nella squadra dei più grandi e spesso davo il meglio contro i giocatori più maturi. Ma per proseguire a mostrare il mio talento avrei avuto bisogno di cure speciali per avere testa giusta”.

Descritto come malinconico, ma anche sereno per quel che gli è accaduto, Depetris è l’emblema del talento mancato, del sogno infranto nonostante presupposti folgoranti. È l’altra faccia della medaglia del successo. E così, mentre Lionel Messi, anch’egli partito dai campetti polverosi di Rosario, si prepara a un’altra stagione ai massimi livelli, il Leandro sfortunato è in cerca di un’altra occasione. Non per puntare alla Champions o al Pallone d’Oro, soltanto per arrivare alla fine del mese attraverso il calcio: “Giocare è divertente, anche allenarti per tre ore al giorno visto che ti pagano molto bene. Ma al mio livello è diverso – aveva concluso l’ultima intervista rilasciata – perché mi alleno ancora tre ore al giorno, ma se in “Primera” (in serie A) ti pagano cento, qui ne prendi due … e devi pregare Gesù di essere pagato”.

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