In ogni Olimpiade ci sono sport di cui sentiamo pochissimo parlare ma che diventano storie di copertina. Sport seguitissimi una volta ogni quattro anni, donne e uomini che diventano eroine, eroi ed icone, personaggi che aiutano sport minori ad emergere. Rio2016 ci ha regalato esempi perfetti (Campriani e Rossetti su tutti) ma un esempio calzante lo si può trovare in Daniele Lupo e Paolo Nicolai, medaglia d’argento nel beach volley, quel genere di sport conosciuto e praticato da molti come passatempo ma che fatica a emergere nelle cronache sportive italiane.
Quella di Lupo & Nicolai è stata una cavalcata epica conclusasi con la sconfitta in Finale contro i padroni di casa brasiliani in una cornice dal sapore unico: uno stadio da oltre 12.000 persone tutto esaurito, la gara in notturna, la pioggia battente, un match teso, combattuto e perso, o meglio, concluso con la vittoria dell’argento. Daniele e Paolo da agosto sono diventati gli ambasciatori e promotori di una disciplina di nicchia ma dal grande potenziale: «Molte persone in più conoscono il beach volley e lo identificano con noi. La cosa più bella è stato sentire bambini giocare in spiaggia fingendo di essere “Lupo e Nicolai”».
Come in tutti gli sport, i momenti “magici”, quelli che ti inseriscono nell’immaginario collettivo, vengono raggiunti grazie a dedizione, concentrazione, visione comune nella pratica quotidiana. Daniele Lupo riassume tutto questo in una frase: «Alla medaglia si arriva con un percorso simile al nostro… ci vogliono tanti fattori, quello più importante è la determinazione».
E poi lavorare per il bene della squadra dove l’ambito “comune” è la sfera più difficile da gestire, Paolo Nicolai lo spiega bene: «Per quanto solo in due siamo pur sempre una squadra. Per rendere ad alto livello devono esserci tre punti fondamentali: un obiettivo chiaro, una programmazione altrettanto chiara e soprattutto il rispetto e fiducia nei compagni». Tre elementi che sono il faro sul percorso svolto negli ultimi anni per arrivare ad assimilare sicurezza, consapevolezza e sinergie riversate ogni giorno nell’intenso allenamento: «Dalle dodici alle quattordici sedute settimanali, cinque/sette ore al giorno in coppia e poi un po’ anche da soli. In inverno gli allenamenti sono più pesanti perché vengono uniti alla preparazione atletica, siamo stanchissimi dopo questa stagione». Ma ripetiamo, alla base c’è un solido legame tra compagni che è il cuore per ogni successo di squadra (“there is not I in team” come direbbe Phil Jackson): «Stare tanto tempo insieme, spesso nella stessa stanza e magari dopo una sconfitta è difficile. C’è bisogno di grande maturità per evitare tensioni».
Sono questi i presupposti hanno portato i due in Brasile: «Siamo arrivati a Rio con una percentuale di vittoria/incontri molto alta, sapevamo di poter far bene». Poi è arrivata la finale e quell’argento accompagnato da qualche polemica riguardo le scelte arbitrali. Ma Paolo taglia corto: «Il campo ha parlato, il Brasile ha dimostrato di più e ha vinto meritatamente». E cosa è cambiato dopo le Olimpiadi? Poco o nulla secondo Paolo: «Faccio sempre la mia vita, l’unica differenza è che ora chiedono di fare le foto mentre sono in giro».
Il 2017 deve ancora cominciare ma i piani sono tanti e ce li racconta Nicolai: «Iniziamo la stagione a febbraio con la prima tappa del tour mondiale, ma l’appuntamento clou per noi sarà ad agosto con il mondiale a Vienna». In mezzo la leggerezza di continuare a divertirsi giocando, di essere i volti di un movimento in continua espansione e la voglia di continuare a stupire, per continuare a rimanere vincenti, con un unico e chiaro obiettivo: «Migliorare sempre di più». Appuntamento a Vienna e perché no, a Tokyo 2020.