«L’atmosfera qui è fantastica. Ci sono ville vittoriane, fabbriche trasformate in locali hipster e trap dappertutto. Io, però, sono uno all’antica: mi piacciono gli Abba, Elton John e gli Eagles. E Max Pezzali». Giorgio Tavecchio risponde al telefono da Atlanta, la sua nuova casa. Ha da poco vinto la sua seconda partita con la maglia dei Falcons sul campo dei Washington Redskins, dopo l’esagerato esordio da 11 punti contro i New York Giants con la nuova maglia. «Una serata magica. Qualche giorno prima mia nonna, che sta in Italia, mi aveva detto di aver visto la vergine Maria in volo su un campo da football per proteggermi. Fai conto che lei non sa neanche come è fatto un campo», dice Tavecchio, che ogni volta che segna alza le due dita al cielo. «Lo so che parlare di fede non va di moda oggi, ma io sono fatto così». Un bravo ragazzo nel senso più pieno e tradizionale del termine – fa il volontario nelle mense, ha ancora «un telefono a conchiglia» ed è un fanatico di parole crociate –, nonostante i contratti milionari e gli eccessi che sono la regola tra gli atleti Nfl, la lega sportiva più ricca al mondo.
Nato nel 1990 a Milano ed emigrato da bambino con la sua famiglia in California – dove si è laureato in economia politica e ha lavorato in campo informatico –, ha inseguito il sogno di diventare un professionista del football americano sin da ragazzino. Giorgio è un kicker, chi sul campo con le yard si incarica di realizzare i calci piazzati. «Sono un grande appassionato di pallone e ogni tanto gioco con i miei amici, ma quando tiro le punizioni sparo sempre la palla alle stelle», dice, ridendo.
Per anni è stato nel giro delle riserve delle squadre Nfl, fino alla firma con gli Oakland Raiders. «Con tutta l’America a disposizione mi ero accasato a 30 minuti di auto dal mio paese, Moraga». Nel settembre 2017 arriva il suo momento, e Tavecchio diventa uno dei pochissimi connazionali a raggiungere i vertici del football pro.
È un trionfo, con 4 calci a segno su 4 e i titoli dei giornali di mezza America a raccontare la sua storia di redenzione sportiva. «Ho capito cosa mi stava capitando dopo settimane, su un volo di ritorno da Miami: ero diventato un giocatore Nfl».
Dopo una stagione sopra le aspettative, però, non è stato riconfermato. «In estate i Raiders hanno cambiato tutto e io non ero più nei loro piani. Mi ha penalizzato essere mancino, uno dei pochi della lega». Arrivato in cima dopo tanti sacrifici e subito scippato del suo sogno, non si è fatto abbattere. «È stata dura, ma non ho smesso di allenarmi. Poi le opportunità arrivano, e ora sono felice ad Atlanta».