Va dato atto ad Adam Levine di averci per lo meno provato a rendere sexy il Super Bowl LIII, con i suoi ammiccamenti alle signorine delle prime file e la chiusura a petto nudo à la Mick Jagger. Magari qualcuno avrebbe potuto parlare di un show di halftime sottotono e senza particolari fuochi d’articio, ad eccezione della strepitosa traccia nel cielo che ha colorato a giorno il Mercedes Benz Stadium al termine delle esibizioni. Ma dopo aver visto quello che è successo in campo, soprattutto nella prima metà di gara, le performance artistiche, pur dopo i tanti dinieghi delle superstar antiTrump, meritano una rivalutazione immediata.
Ma andiamo con ordine. Si parte e la prima grande novità è di carattere biografico: l’opportunità di tornare a vedere un Super Bowl su Mamma Rai a nove anni dall’ultima volta. In chiaro, con Guido Bagatta a illuminare lungo il cammino e lo studio che parla sopra l’inizio del live dei Maroon 5, che tanto cosa sarà mai… Comunque fa una strana e bella sensazione, dopo anni di streaming e league pass, tornare a vedere Tom Brady condividere il canale con Povera Patria.
La nona volta al gran ballo del 41enne leggendario quarter back – che proprio contro l’avversaria della notte, allora a St. Louis, nel 2001 vinse il suo primo Super Bowl – coincide con l’esordio a questi livelli di parecchia gente in casa Rams. Quando il signor Bundchen si laureava campione per la prima volta, il quarteback rivale, Jared Goff, aveva appena 7 anni, pochi di più Sean Mc Vay, l’allenatore più giovane a giocarsi una finalissima. Il gap di esperienza è evidente, e peserà.
Dopo un inno molto classico di Gladys Knight e l’omaggio della sua città a Martin Luther King, si parte con New England a costruire, non senza fatica. Protagonista delle prime azioni è Michel: sono meglio quando corrono i Patriots, perché al primo lancio di Brady arriva l’intercetto. Le squadre sono trincerate, le coperture uomo a uomo funzionano alla grande, la linea difensiva dei Rams – che vanta il giocatore da poco nominato numero uno della specialità, Aaron Donald – si conferma molto efficace, ma allo stesso tempo lo è quella dei Rams. Bagatta è già senza voce.
Gostkowski sbaglia il suo primo calcio per i Patriots, dopo 11 minuti arriva il primo down dei californiani. Intanto Edelman, uno dei punti di forza dell’attacco dei pluricampioni del Massachussets, inizia a salire di colpi. Ma non basta, per il momento, dopo 15 di gioco è 0-0. Come un Chievo-Spal qualsiasi.
Il vantaggio Patriots arriva al 20esimo con il primo calcio tra i pali di Gostkowski dalle 42 yard. Per il resto regna l’equilibrio, Belichick dimostra una volta di più di essere il più grande allenatore della storia nel non fare giocare gli avversari, ma pare faticare di più nel costuire le proprie iniziative. Gurley per i Rams guadagna un paio di yard, ma nulla di più. Finisce così la prima metà di gara: Rams nulli in attacco, fantastici in difesa. Ma l’equilibrio non è spezzato. Ed essere rimasti in partita, a conti fatti, è un ottimo affare.
Il momento del trionfo degli spot miliardari e, soprattutto della musica, è arrivato. Da Saxa Rubra ancora un po’ di chiacchiere, poi la linea passa ai Maroon 5. Levine e soci, contestati da alcuni per la scelta di suonare dopo i rifiuti di vari colleghi in solidarietà alla protesta di Colin Kaepernick, mettono in fila le loro hit, da She Will Be Love a Girl Like You, enorme successo degli scorsi mesi. Diciamo che si è visto di meglio da queste parti, visti i precedenti. Non si registrano gli annunciati gesti di adesione alla protesta. Potente l’ingresso di Travis Scott, che, introdotto da SpongeBob, porta le sue rime nella culla della trap. Atlanta saluta poi con un’ovazione l’entrata in scena di Big Boi, metà degli OutKast, che il rap ad Atlanta lo facevano quando lo sciroppo ancora servivano davvero per la tosse.
Senza troppo entusiasmo e con la recondita speranza che scocchi la scintilla, si torna a giocare. Goff, attesissimo quarteback dei Rams, continua a faticare, a parte qualche buona giocata per Cooks: i Patriots gli hanno messo la briglia. Anche Brady, però, è abbastanza irriconoscibile per ora. Il migliore è sempre Edelman; e le difese, chiaramente. Chung si fa male per i Patriots.
Dopo 8 drive consecutivi con un punt – il calcio di allontanamento successivo a un’azione offensiva con tre tentativi falliti -, prima volta nel Super Bowl, i Rams trovano delle soluzioni in attacco. McCourtney evita un touchdown coreografico di Los Angeles, fino a che un calcio di Zuerlein da 53 yard, che vale il 3 a 3.
Punteggio basso, bloccato come mai prima nella storia di un Super Bowl senza voli nell’area avversaria. Le yard conquistate sono poche da una parte e dall’altra, la scena se la prendono i punter è non è mai un bel segno. I minuti passano e nessuno segna, Goff dimostra di aver smaltitto un po’ di timidezza, ma non basta. Sono iniziati gli ultimi 10 di gioco da pochi secondi, quando Brady – basta una sua giocata ed è fatta – traccia per Gronkowski a due yard dala gioia. Meraviglioso, ecco il “big play”. Al primo tentativo Michel, rookie da record, chiude in tuffo: il primo touchdown è arrivato. Il calcio aggiorna sul 10 a 3. Una mazzata per i Rams, ora visibilmente stanchi.
Goff si gioca le ultime chanche, cerca Wood in end zone, ma è fermato. Poi c’è l’intercetto, i Patriots possono provare ad andare fino in fondo. I Rams sono alle corde, Michel continua il suo show. Ora ci sono tanti buchi nella un tempo serrata difesa di McVay. Un altro calcio di Gostkowski chiude i conti: è 13 a 3.
Finisce così, i Patriots (come aveva predetto Giorgio Tavecchio) vincono un Super Bowl bruttino che, però, vale come quelli belli. Per Brady, che scrive un altro capitolo nella sua (fastidiosa) storia di successi, New England – dopo la sconfitta con gli Eagles dopo 12 mesi fa – vince il suo sesto titolo e raggiunge Pittsburgh come squadra più vincente di sempre. Il quarterback e coach Belichick ora hanno più anelli che dita in una mano, la storia si ricorderà di loro. Si va a dormire alle 4 passate, con i campioni di sempre ancora più campioni. Signor Bagatta si riguardi per quella voce.