Provate a immaginarvi la situazione: hai fatto il tuo primo film. Va benissimo. Vinci qualcosa come un David di Donatello (miglior esordio alla regia), un Nastro d’argento (miglior commedia) e un Globo d’oro (migliore opera prima), cioè praticamente tutti i premi disponibili su suolo italiano. Poi ti fermi per tre anni causa pandemia e “altri impicci”, torni nel 2022 con una serie ispirata al suddetto film e le aspettative sono – chiaramente – altissime. Come ti senti? Agitato, ovvio. Tutti staremmo così, divorati dall’ansia da prestazione, tranne lui: Phaim Bhuiyan, 26 anni, il regista prodigio di Bangla che, per l’appunto, torna dopo tre anni di nulla (o quasi) con Bangla – La serie, disponibile dal 13 aprile su RaiPlay (e poi, dal 27 aprile, in chiaro su Rai 3 alle 20:20, dal lunedì al venerdì). Lui infatti ti guarda, accenna un sorriso con fare spaesato e dice: «Vabbè…».
Ma come “Vabbè”? Io non voglio metterti ansia, però, insomma…
Un po’ d’ansia c’è ma, nel peggiore dei casi, che può succedere? Al massimo andrà male.
Della serie: in fondo è solo un film, non salviamo mica vite umane?
Come dice Maccio Capatonda, il fallimento fa sempre ridere.
Poi voglio il numero del tuo analista: deve essere uno bravo. Ma veniamo a noi. Bangla in realtà nasceva come serie: come mai allora va in onda solo adesso?
Ci sono stati un po’ di impicci produttivi. All’inizio doveva essere realizzata da un’altra società, poi è subentrata la Rai, nonché la pandemia… e c’era pure da sciogliere un nodo sui diritti. Ecco perché siamo arrivati un po’ in ritardo.
E tu, invece? Dal 2019 a oggi sei sparito dai radar. Possibile che non ti abbiano proposto un cameo in un film o un reality, un Ballando con le stelle?
In realtà mi sono arrivate delle proposte, come attore, per recitare in alcuni film o serie, ma i progetti non erano in linea con il mio pensiero. Erano delle parti un po’ stereotipate.
Ti prego, non dirmi che ti hanno proposto il ruolo del giovane immigrato…
Be’, sì… la linea d’onda è quella.
Suona un filo razzista, non trovi?
Ma no, più che altro c’è un mismatch tra gli autori e le nuove generazioni. I primi dovrebbero scrivere delle storie meno stereotipate.
Non è che l’incomunicabilità nasce dall’ormai sopraggiunta età delle firme italiane?
Tutto sta nel non perdere la curiosità. Bisogna vivere i quartieri, frequentarli, conoscerli. Viaggiare tanto. Aprirsi al mondo. Altrimenti, se ti basi solo su quello che già sai, finisci per raccontare sempre la stessa storia. Invecchi, sì, ma in termini di scrittura.
Nel 2019 avevi girato il film Bangla tutto da solo. Qui no: perché hai scelto di essere affiancato da Emanuele Scaringi (il regista dellaProfezia dell’armadillo, nda)?
Sarebbe stato materialmente impossibile gestire tutto da solo. Una serie è molto più lunga di un film e il mio personaggio è di fatto sempre in scena. Delegare, sia per quel che riguarda la scrittura che la regia, è stata la scelta più saggia.
Nella serie prendi spesso in giro i cattolici, che, come i musulmani, dovrebbero restare casti prima del matrimonio ma poi alla fine “fanno un po’ come gli pare”. In queste frecciatine c’è più invidia o rancore?
Invidia, sicuramente! Perché noi siamo sempre lì, con il senso di colpa, mentre i cattolici sono più liberi. E forse c’è pure un po’ di speranza: fino a qualche tempo fa anche i cattolici erano molto più ligi, solo adesso è cambiato il loro modo di fare. Chi lo sa se succederà pure con l’Islam: vallo a capire.
Nella serie, così come nel film, ti chiedi spesso se i tuoi dettami religiosi siano conciliabili con quelli della società italiana. Emerge molto bene la difficoltà di mantenere fede al proprio credo, mentre non sono pervenuti i dubbi. Perché non metti mai in discussione la fede islamica?
In realtà i dubbi emergono ma non vengono mai espressi da Phaim, bensì dalle persone che lo circondano.
Ma non è la stessa cosa…
Phaim non mette in discussione la castità o altri dettami, perché sono dei dogma: ci credi e basta.
E tu? Hai un atteggiamento più dialettico verso il tuo credo?
Be’, alcune domande me le faccio, per esempio per quel che riguarda l’alimentazione. Se non avessi dei dubbi, non sarei umano.
Al centro della serie però ci sono anche, o soprattutto, le seconde generazioni di immigrati. Possiamo aggiungere: “questi sconosciuti”, almeno in Italia?
Effettivamente, rispetto ad altri Paesi come la Francia, l’Italia è un po’ indietro in materia d’integrazione. La gente ti giudica dal colore della pelle, dall’aspetto… finché non parli, non capisce che sei italiano pure tu.
La cosa più difficile da farsi riconoscere?
Poter avere voce in capitolo, ossia essere riconosciuti come cittadini attivi: tipo andare a votare, partecipare a dibattiti e conferenze. Però sono convinto che la mia generazione stia facendo da apripista a quelle più giovani, che, sicuramente, saranno più integrate. Tra l’altro sta nascendo tutta una narrazione sulle seconde generazioni: penso a titoli come SKAM Italia o ZERO, ma anche alla musica, come quella di Ghali. Questo movimento è fondamentale, anche perché alcuni ragazzi soffrono una sorta di crisi di identità: non sanno in quale cultura riconoscersi, si sentono dei pesci fuor d’acqua, e poter avere dei modelli come noi a cui guardare credo che potrebbe aiutarli. È una spinta ad avere coraggio.
Confessa: sotto sotto, la serie Bangla è dedicata a Salvini?
Non è stato lui la mia musa, però se vuole vedere Bangla – La serie e dirci che ne pensa, ci fa piacere! Così almeno scopre un mondo nuovo! (ride, nda) Un sano dibattito, poi, non fa mai male.
Cosa pensi di tutto il polverone nato intorno alla legge sulla cittadinanza?
Una legge esiste già, ma è un po’ borderline. Devi infatti essere molto preciso sulla documentazione, altrimenti è un attimo… basta un cavillo burocratico e ti tocca dover seguire lo stesso iter di un immigrato, che vuol dire presentare un contratto di tre anni di lavoro ed essere residente da dieci in Italia. Praticamente per prendere la cittadinanza impieghi dai tre ai cinque anni.
Parli per esperienza personale?
Eh, pure io ho rischiato un po’! Per un motivo che ignoro, mi hanno cancellato due anni di residenza.
In che senso?
Eh, non so perché, ma risultava che per un paio d’anni non fossi stato residente a casa mia. Ma io non mi ero mai spostato! Per provarlo ho fatto dei casini assurdi, tipo portare le pagelle di scuola… però alla fine l’ho presa.
Mega festone?
Sì! Dài, oh: ci sta! Non è cambiato nulla in realtà, però sulla carta sì. E poi ti fanno fare il giuramento solenne, e tutte le altre cose: bellissimo!
Torniamo alla serie. Nella storia entra un nuovo personaggio: la cugina di Phaim. L’integrazione è più difficile per le donne?
Sì, soprattutto se porti il velo vieni presa di mira, e mica solo in Italia. Prendi per esempio la Francia. Inoltre la comunità del Bangladesh è molto protettiva verso la donna, che invece, secondo me, dovrebbe avere la stessa libertà di un uomo. Io sono per la parità dei sessi. Purtroppo ci sono famiglie più aperte e altre meno, ma il problema di fondo c’è.
I matrimoni combinati sono ancora un obbligo?
È un vincolo culturale più che religioso. Quindi, per esempio, chi come me nasce in Italia tende a non seguire questa usanza. I matrimoni combinati non sono spariti ma, anche in Bangladesh, sono meno diffusi.
Te la sei scampata, eh?
Esatto! (ride, nda)
Anche se, oggi come oggi, è un’impresa trovare da soli la persona giusta.
Senti, alla peggio me la tengo come ultima spiaggia: se proprio proprio non trovo nessuno, oh… a mali estremi… (ride, nda)
Il tono di Bangla ricorda spesso quello di Zerocalcare. C’è un’ispirazione dietro?
Se l’abbiamo fatto, è stato in modo inconscio. D’altronde, se sei romano e parli di un quartiere… il riferimento è quello. Spero che Zerocalcare non si offenda.
Ma figurati. Al massimo ti chiederà una percentuale.
Hai ragione. Preparo il bonifico.
Comunque, da quando è uscito Bangla, Torpignattara si è riqualificata: la gente dice che è diventato un quartiere di moda come il Pigneto. Ma è davvero così?
Confermo: hanno aperto molti più localini e ho addirittura visto dei turisti, attirati anche dalla street art.
Allora, scusami, ma a questo punto ti spetta una statua in pieno centro.
Come quella di Rocky Balboa? Sugli scalini della Pisacane, con i guantoni da boxe… mi piace!
Di’ la verità, però: quando diventerai ricco e famoso andrai a vivere a Roma Nord?
Io non so nemmeno se arrivo a domani… comunque punterei di più a Piazza di Spagna, quelle zone lì.
Hai detto poco. Dopo Bangla, quindi, cos’hai in cantiere per diventare il re della Bollywood italiana e trasferirti dietro il Vaticano?
Spero di realizzare la seconda stagione di Bangla – La serie. Nel frattempo sto scrivendo un altro film: sarà sempre sulle seconde generazioni, anche se l’ambientazione cambierà.
Non ti andrebbe di sperimentare un po’, magari allargandoti a nuovi generi come il fantasy o il crime?
Per ora preferisco stare nella mia comfort zone per crescere e trovare un mio stile. Poi, sì, mi allargherò anche agli altri generi. Ma solo quando sarò pronto.
Ultima domanda. Torno sull’ansia da prestazione perché, scusami, questa tua calma atarassica davvero non si spiega. Dopo il passaggio su RaiPlay, la serie andrà in onda su Rai 3. Hai capito che lì ci sarà l’Auditel e se la media non è alta sarà un macello?
Speriamo in Un posto al sole.
Ma viene dopo di voi, non prima.
Conto sul traino al contrario…