‘Game of Thrones’, crescere sul Trono di Spade | Rolling Stone Italia
Interviste

‘Game of Thrones’, crescere sul Trono di Spade

Il colpo di fulmine alla prima lettura del copione: Sophie Turner e Maisie Williams raccontano come sono diventate inseparabili, in attesa del finale di serie più atteso di sempre

Foto: Nicole Nodland per 'Rolling Stone'

Ci sono state una sequela infinita di manifestazioni soprannaturali, molte delle quali piuttosto spiacevoli, in Game of Thrones, la serie della HBO che è partita con la sua ultima stagione: resurrezioni, viaggi nel tempo, un bambino-ombra killer, una vasta armata di tizi morti, una regina a prova di fuoco, un drago zombie, i draghi normali. (E inoltre, sempre nella categoria “cose innaturali”, una quantità davvero inquietante di incesti). Ma uno degli eventi più inesplicabili della serie è molto più piacevole, perfino dolce: da quando la dodicenne Maisie Williams ha posato gli occhi sulla tredicenne Sophie Turner durante il primo chemistry read, una lettura collettiva del copione per vedere se c’è feeling tra gli attori, il loro rapporto è diventato profondissimo e misterioso. Interpretavano le sorelle Stark. “Siamo diventate praticamente da subito migliori amiche” dice Turner, oggi ventitreenne. “Ho pensato che Sophie fosse la più figa che avessi mai visto” racconta Williams, oggi ventunenne. “Ora capisco perché fanno i chemistry read: quando c’è feeling, c’è davvero. Siamo proprio inseparabili. E se n’erano accorti anche all’epoca. Dev’essere stato magico vedere queste due ragazzine divertirsi così tanto insieme”. Anche se affrontavano un’audizione che potenzialmente avrebbe potuto cambiare la loro vita, “ci furono un sacco di risate quel giorno”, racconta Nina Gold, la direttrice del casting per il Regno Unito (che ha anche scoperto Daisy Ridley, al momento impegnata nella nuova trilogia di Star Wars). “Maisie sembrava un’anima antica racchiusa in un corpicino davvero minuto. Proprio come Arya. Sophie era più ragazzina, cosa che sicuramente adesso non è più”.

Quell’anno a Belfast, in Irlanda, ci fu la prima vera festa di fine produzione di Game of Thrones, dopo la conclusione delle riprese dell’episodio pilota, che non è mai andato in onda. Gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss capirono appena in tempo che era goffo e difficile da seguire: riassegnarono parecchi ruoli chiave e lo girarono di nuovo, salvando la serie. Turner e Williams, tra le più giovani del cast, potrebbero essere state tra le prime a capire che c’era qualcosa che non andava. Weiss e Benioff, che ci rispondono in un’intervista congiunta via mail, ricordano che alla festa le ragazze erano molto turbate: “Entrambe strillavano e si abbracciavano, perché dopo quelle poche settimane trascorse insieme si adoravano già, e avevano paura che non si sarebbero mai più riviste perché la serie sarebbe stata cestinata. Era una paura tangibile. Ma siamo tutti molto felici che non sia andata così, e che abbiano potuto trascorrere così tanti anni insieme, e insieme a noi”.

Verso la fine della prima stagione, la vita degli Stark va in pezzi quando il patriarca Eddard Stark (Sean Bean), un uomo fin troppo buono in quel covo di vipere, viene arrestato con falsi pretesti dopo una serie di intrighi reali: quelle false accuse culmineranno con una repentina decapitazione. Arya si nasconde, travestita da ragazzo, e medita vendetta, mentre Sansa viene obbligata a fidanzarsi con il mostruoso re-bambino Joffrey. Le ragazze sono in balia del vento, indifese in maniera straziante, e passano dall’innocenza all’esperienza più orrenda di quell’arco narrativo straziante che da sempre è il cuore dello show. Da allora, Turner e Williams non hanno più girato una sola scena insieme fino a quando nel 2016 i loro personaggi si ritrovano per la settima stagione. Forse è stato un bene. “Lavorare con noi è un incubo” dice Turner. “Se lavori con la tua migliore amica, non combini mai niente. Ogni volta che proviamo a restare serie, è durissima. Penso che abbiano davvero rimpianto di avere scritto delle scene in cui eravamo insieme. Era troppo difficile”.


Foto: Nicole Nodland per Rolling Stone

Ora che le due attrici sono adulte, le cose sono cambiate. Più o meno. “È stato stupendo avere attorno due ragazze così intelligenti e spiritose, che si prendevano in giro tra un cambio di set e l’altro”, scrivono Benioff e Weiss. “A un certo punto decisero di cominciare a parlare con un accento del nord dell’Inghilterra, che forse è reale o forse è una loro invenzione: essendo noi americani, non possiamo saperlo. Ma passavano giornate intere a parlare così. A volte riuscivano anche a infilarlo in qualche scena, e dovevamo ricordare loro che Arya e Sansa non si esprimono in quel modo”.

Nell’estate del 1991, uno scrittore-di-genere-diventato-sceneggiatore-di-medio-livello imbracciò il suo MS-DOS Word Processor, che già allora era un computer datato, pronto a creare un nuovo mondo. George R.R. Martin aveva 42 anni, aveva appena trascorso un periodo a scrivere i dialoghi di un Ron Perlman travestito da leone per la serie tv della CBS Beauty and the Beast, e aveva un’esperienza più che decennale (ma scarsamente redditizia) di acclamato scrittore di fantascienza, horror e fantasy. Avrebbe voluto scrivere un altro romanzo di fantascienza, ma gli venne alla mente la scena di un altro racconto: dei ragazzini che trovano dei cuccioli di lupo orfani in un mucchio di neve sporco di sangue. Quella fu la prima immagine dei maschi della famiglia Stark, il clan al centro della saga di libri Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, e di una delle serie tv più ambiziose di sempre. Martin, però, sapeva che quella famiglia era ancora incompleta. “Volevo che ci fossero anche delle ragazze” racconta ventotto anni dopo, seduto nel suo ufficio di Santa Fe, New Mexico, dove sta ancora lavorando al sesto e penultimo libro della serie, sempre usando quel Word Processor che ormai è un pezzo d’antiquariato.

Non appena il racconto arrivò a Grande Inverno, la roccaforte innevata che gli Stark chiamano casa, aveva creato “due sorelle che erano molto, molto diverse tra di loro”. Martin ambienta la sua storia in un mondo in cui il fiato dei draghi è un’arma di distruzione di massa e gli Estranei non-morti minacciano la civiltà, ma per gli elementi più realistici ha preso a modello l’Europa medievale, ivi compreso il ruolo della donna nella società. “Era un’era molto patriarcale”, racconta Martin. “Cerco di non generalizzare mai, perché mi fa sentire un idiota: so che il medioevo è durato centinaia di anni e ha coinvolto molte civiltà diverse, ma in generale le donne non avevano molti diritti, e venivano usate per stringere alleanze tramite i matrimoni… Parlo delle donne nobili, ovviamente, perché le popolane avevano ancora meno diritti”. Allo stesso tempo, sottolinea, “è anche un’epoca in cui è nata l’idea dell’amore romantico: il cavaliere galante, la principessa. In un certo senso, l’archetipo della principessa Disney è un’eredità dei trovatori della Francia medievale”. Quando incontriamo Sansa, all’inizo del libro e della serie, occupa felicemente e orgogliosamente il suo posto in un mondo protetto e zuccheroso. Una principessa Disney destinata ad essere gettata in un mare di orrori.

“All’inizio, Sansa vede la realtà attraverso delle lenti rosa” racconta Turner. “Ignora completamente chi siano davvero i membri della famiglia reale. È come una qualsiasi fan di Justin Bieber: non capisce che anche Justin ha i suoi lati oscuri”. Anche la giovane Turner era “una Belieber, con una parete della mia cameretta interamente dedicata a lui. David e Dan mi dicevano sempre ‘Guarda Joffrey come se fosse Justin Bieber, immaginati come sarebbe incontrarlo’. Ecco il trucco per convincere Sophie a entrare nella parte!”. Arya è concepita dall’inizio per essere all’opposto, “una ragazza che è allergica al ruolo in cui vorrebbero costringerla: non vuole imparare a cucire, vuole tirare di spada… ama cacciare e fare la lotta nel fango” spiega Martin. “Molte delle donne che ho conosciuto, soprattutto quando ero giovane, negli anni ’60 e ’70, hanno qualcosa di Arya. Ho incontrato un sacco di donne che non ci stavano, al cliché del ‘Devo trovare un marito e diventare una casalinga’, ma che piuttosto dicevano ‘Non voglio essere la signora Smith, voglio essere me stessa’. E questa è senz’altro una caratteristica di Arya”. Benioff e Weiss hanno dovuto tracciarsi la propria strada nelle ultime stagioni, dopo aver superato il punto della saga che Martin aveva già scritto e pubblicato. “Sono così lento con questi libri” dice Martin, con sofferenza palpabile. “Gli aspetti salienti del finale sono cose che avevo già raccontato a entrambi cinque o sei anni fa. Ma potrebbero anche esserci dei cambiamenti, e un sacco di aggiunte”.

L’inverno è arrivato, sia nel Continente Occidentale che nel quartiere gentrificato di East London dove ci troviamo, dove ha l’aspetto di un cielo grigio da cui cade pioggia gelida, piuttosto che di un’immensa tempesta di neve che dura per generazioni. Alle nove in punto, una raffreddata ma allegra Maisie Williams, appena atterrata in città dopo la settimana della moda di Parigi, entra in una caffetteria gourmet vegetariana dietro casa sua. Si è meticolosamente rintanata in un caldo maglione a collo alto nero, che abbina a pantaloni di pelle e a stivali Coach con stampa leopardata. Sfoggia una borsa Coach decorata con personaggi dei fumetti, incluso un grazioso scoiattolo armato di martello – vagamente sinistro, ammetterà. (In passato era una testimonial di Coach, cosa che le permetteva di fare shopping gratis). “Mi sento un disastro” dice. “Ma sembro chic, quindi…”.

Di questi tempi, adora il rosa. I suoi capelli, che ora hanno una frangia netta, sono di una metallica sfumatura cipria, in netto contrasto con le sue sopracciglia scure e fiere. Anche le sue unghie sono rosa. “Adoro questo colore” dice, seppellita nel collo del maglione. “È il mio preferito in assoluto. Arrivo in ufficio ogni giorno” – ha fondato ‘Daisie’, una app social per creativi – “e tiro fuori il mio laptop rosa mentre indosso una felpa rosa sui miei capelli rosa, e il desktop del mio computer è rosa, come lo screen saver. Per un sacco di tempo ho fatto finta che il mio colore preferito fosse il verde: pensavo non fosse molto femminista dire che era il rosa. Poi ho deciso che era proprio una cazzata”. I suoi capelli, in particolare, sono una dichiarazione di indipendenza, o quantomeno un segno che vuole prendersi una pausa dalla recitazione. “A livello inconscio, credo di essermi tinta perché non volevo più lavorare” spiega. “È un ottimo modo per mettere un freno. Ed è una sensazione così bella, è proprio una cosa da me. Per tutta la mia adolescenza ho lottato per poter dare un tocco personale al mio aspetto, ma come attrice dovevo anche essere una tela immacolata”.


Foto: Nicole Nodland per Rolling Stone

La sua tardiva passione per le nuance della casa di Barbie è anche una reazione al decennio che ha trascorso nei panni di Arya Stark, ovvero una buona parte della sua adolescenza, passata indossando varie sfumature di marrone incrostato di sporco, impegnata ad assassinare gente. Tra i diktat del suo guardaroba c’era anche quello, molto poco piacevole, di nascondere le curve. “Stavo diventando una donna” sospira, “e indossare quella roba è un po’ come indossare i vestiti della regina d’Inghilterra: penso che anche lei sia obbligata ad avere un reggiseno che le spinge le tette sotto le ascelle. E la cosa andava sempre peggio, perché le mie tette crescevano e quindi mi mettevano questa piccola pancetta finta per livellare tutto e farmi sembrare piatta. Avevo tipo quindici anni, e pensavo ‘Voglio essere una ragazza e avere un fidanzato!’. Era una situazione da schifo. Quando per la prima volta mi hanno portato un reggiseno in camerino, ho esultato: ‘Evviva, sono una donna!’”. Turner racconta che quel periodo è stato “davvero difficile” per Williams. “Stava attraversando una fase di cambiamento, però doveva continuare a sembrare una bambina, ad avere i capelli corti e ad apparire completamente diversa da come si sentiva dentro. Penso mi invidiasse molto, perché potevo indossare vestiti da donna, truccata bene, pettinata bene. E dire che avrei voluto io i pantaloni e i vestiti maschili!”.

Williams l’ha superata, ormai. In generale, è una ragazza molto libera, che irradia così tante possibilità da sembrare quasi contagiosa. Ha adorato Game of Thrones, ma è stato anche un obbligo onnipresente per la metà della sua vita. “Ciò che mi colpisce di più, del finale della serie, non è la fine in sé” dice con gli occhi che le brillano. “È che sono libera. Ora posso fare qualsiasi cosa”. In banca ha accumulato dieci anni di cachet televisivi, praticamente un fondo fiduciario. “In questo momento posso davvero godermi tutto ciò per cui ho lavorato così duramente. Questi ultimi sei mesi li ho passati facendo proprio questo”. Ad esempio, ha trascorso il capodanno a Berlino, concedendosi una maratona di 24 ore di club in club. (“Sono uscita alle otto di sera e sono rientrata alle otto di sera del giorno dopo” racconta. “Siamo stati a tutte le feste, e anche a nessuna festa”).

Ha già girato un film a budget milionario, nei panni della mutante quasi-licantropa Wolfsbane nello spin-off di X Men, New Mutants, ma la pellicola per ora è intrappolata nel limbo delle corporation, a causa del potenziale acquisto di Fox da parte della Disney. Parla della situazione senza mezzi termini. “Chi sa che cazzo ne sarà” dice. Sembrava che dovessero rigirare alcune scene per “renderle più spaventose”, spiega, ma la cosa non si è ancora concretizzata. Racconta di aver visto pochi giorni prima uno dei co-protagonisti, Charlie Heaton, e di avergli chiesto “Che cazzo sta succedendo con il film?”. Neanche lui lo sapeva. Sorride. “Speriamo che questa intervista aiuti a mettere un po’ di fretta a qualcuno!”. Se mai uscirà, sia lei che Turner – che veste i panni di Jean Grey nella saga principale degli X Men – non vedrebbero l’ora di fare incontrare i loro personaggi. “Sarebbe incredibilmente stupido, se non lo facessero succedere” dice Williams.

Le infinite possibilità di Williams sono ancora più inebrianti se confrontate con la sua infanzia a Bristol, in ristrettezze economiche. Ci sono state anche delle altre difficoltà, dei problemi a cui accenna senza quasi spiegarli. Ha lasciato casa a sedici anni, non per allontanarsi dalla sua famiglia, ma semplicemente per avere un po’ di spazio per se stessa, dopo aver condiviso per anni una stanza con le due sorelle. I suoi genitori divorziarono quando aveva solo quattro mesi, e spiega che non frequenta il padre biologico. (“Il marito di mia mamma è il mio vero papà, e gli voglio molto bene”). Fa cenno a delle “ostilità” nella sua storia familiare. “È una situazione che io, i miei fratelli e mia mamma abbiamo attraversato insieme” dice, rifiutandosi di spiegare oltre. “Ci ha uniti moltissimo, ma non ha certo semplificato le cose”. Ha messo tutto ciò nel personaggio di Arya, nel suo lutto traumatico e nella sua violenza a volte frenetica e altre calcolata. (“Arya ha più cadaveri sulle spalle di quasi tutti i principali personaggi della serie”, scrivono Benioff e Weiss, “ma la sua furia è quasi sempre giustificata, in un modo o nell’altro”). “Attingo molto dalle emozioni reali che ho provato nella vita”, racconta. “La gente si chiedeva sempre, quando avevo dodici anni: ‘Come hai fatto? Da dove hai preso tutto questo?’. Ma non sanno nulla del mio passato. È così liberatorio poter esplorare questi sentimenti in un ambiente sicuro. Mi ha molto aiutato quando ero una ragazzina, impazzire in scena e poi tornare a casa e dire ‘Fiuuu, che bella giornata’”.


Foto: Nicole Nodland per Rolling Stone

Ha davvero apprezzato i momenti più sanguinari di Arya. “L’adrenalina si percepisce” dice quasi sognante. “Sembra incredibile perché è tutta finzione, e quindi non conta. Ma quando mai ti ricapita di poterlo fare? C’è questa ripresa che abbiamo fatto alla fine della terza stagione, quando pianto un coltello nel collo di un tizio. Mi hanno dato un sacchetto di sabbia e un coltello finto, e c’era sangue ovunque, e tutti mi dicevano ‘Fallo! Accoltellalo!’. Mio Dio! Era una sensazione che… Aaaaah!”. Sorseggia il suo caffè. “Meravigliosa”. Era così giovane quando ottenne la parte che non aveva ancora deciso davvero di diventare un’attrice. Voleva fare la ballerina, ma poi fu reclutata da un agente che la scoprì durante una lezione di improvvisazione. Quella per la parte di Arya fu la sua seconda audizione di sempre. “Ricordo che mi guardavo in giro e vedevo tutte queste ragazze così carine, e mi sentivo davvero sciatta”, dice. “Nell’altra audizione a cui avevo partecipato, durante la prova davanti alla telecamera, mi avevano detto ‘Dobbiamo cambiarti la maglietta’. Ero così umiliata, sapevo che qualcosa in me non andava. Prima di allora avevo partecipato a provini per scuole di danza e roba così, con le mie cosciotte e i denti storti, e tutti gli altri ragazzi sembravano usciti da una pubblicità. Perfino da piccola, riuscivo a capirlo”. Si illumina. “Ma per Arya, ero perfetta. Era esattamente quello che volevano. Fanculo a voi e al vostro sorriso perfetto!”.

Williams è vivace ed espressiva quanto Arya è chiusa, e non ha filtri. “Quando sono me stessa, la gente continua a chiedermi ‘Che c’è che non va?’, perché non sono consapevole delle mie reazioni, e esprimo le emozioni non appena le percepisco”. Quando è nei panni di Arya, per lei è come avere un superpotere. Sbatte gli occhi meno spesso; il suo respiro diventa meno profondo. “Mi sento iper-consapevole” dice. “Hai presente quel film, Limitless? Mi sento così. Arya è molto misurata nei suoi comportamenti: non le piace che la gente sappia a cosa sta pensando”. L’attrice ha attraversato una recente, inesplicabile fase in cui le sue stesse emozioni le risultavano inaccessibili. Non riusciva a piangere, né in scena né fuori. (“L’ho superata” fa notare. “Ora piango ogni settimana”). Ha coinciso con l’ottava stagione, in cui Arya sembra riconciliarsi con la sua umanità. “È stato davvero un tempismo perfetto, perché Arya torna finalmente a provare qualcosa”, dice. “Perciò era meraviglioso: di solito cerco di interpretare Arya senza mostrare emozioni, ma provandole tutte. Questa volta non provavo nulla, ma dovevo mostrare di provare qualcosa, e ha funzionato… Credo”.

Se la Lady di Grande Inverno ti chiede di farti uno shot di tequila con lei, il protocollo ti obbliga ad accettare. A dirla tutta Sophie Turner in questo momento non assomiglia molto a Sansa Stark, anche se il suo accento sofisticato e mellifluo la tradisce. La sua coda di cavallo è tornata al colore naturale, il biondo; ha adottato un look stranamente americaneggiante, con una t-shirt bianca e dei jeans chiari, abbinati a scarpe stringate rosse. All’anulare porta un gigantesco e accecante diamante, gentile omaggio del suo fidanzato, Joe Jonas, che ha disegnato personalmente l’anello. Aveva voglia di giocare a bowling, perciò ci siamo intrufolati in una pista privata del Bowlmor di Chelsea Piers, Manhattan, non lontano dall’appartamento di Nolita in cui si è appena trasferita con Jonas. (“Camera nostra è ancora piena di scatole”, racconta, “e abbiamo anche due cani che vivono con noi”). “Scommetto che Maisie non si è fatta uno shot in quella caffetteria” dice, prendendo una palla. Sceglie il nome “Boy George” per il segnapunti digitale affermando, in maniera non molto convincente, che si assomigliano. Quando arrivano i drink, butta giù il suo e fa una smorfia. “Ouch” dice. “Odio il sapore, ma almeno ti ubriaca”. Williams descrive Turner come l’attrice più simpatica in assoluto con cui recitare: hanno ripassato insieme perfino le loro sceneggiature extra-Game of Thrones. Alla fine Turner si congratula anche con i suoi avversari con lo stesso fervore quasi estatico: “Puoi farcela! Credi in te stesso… Quel tiro era geniale, cazzo!”.

Sul suo bicipite sinistro c’è un tatuaggio triangolare dall’aria vagamente occulta, ispirato dalla “teoria di Platone secondo cui l’anima si compone di tre parti: ragione, spirito e appetiti”. Il fratello maggiore Will ne ha uno identico: è lui la sua parte spirituale. L’altro fratello, il più grande dei tre, James, è la ragione, ma ha preferito non tatuarsi. “Io sono gli appetiti” dice Turner, “perché sono affamata di tutto. Ho bisogno di tutto. Non in senso materiale, ma ho bisogno di lavorare e di divorare qualunque cosa. E in più amo anche mangiare”. Sul braccio destro c’è la sagoma di un coniglio con qualcosa di strano alle zampe posteriori. “Non significa nulla di particolare” spiega. “Un sacco di gente dice che sembrano due conigli che scopano”. Si dirige verso una sala biliardo lì accanto, che per puro caso ha due enormi sedie a forma di trono. “Appropriato” dice, accomodandosi in maniera poco regale su uno di essi. Turner sta lavorando a un altro grosso progetto, il film degli X-Men Dark Phoenix, che uscirà a giugno. È ottimista, lo chiama “Il Dark Phoenix fatto bene”, una frecciatina a X-Men: Conflitto finale, notoriamente orrendo, che ha massacrato la trama stessa. “Ogni scena di quel film è tipo la scena più intensa che abbia mai girato”, racconta.

Diventare il personaggio principale di una saga di supereroi mette parecchio sotto pressione. “Sono un fascio di nervi al momento” spiega, anche se non si direbbe. Nonostante la sua apparente leggerezza di spirito, Turner ha affrontato quelli che descrive come problemi di salute mentale. “Assolutamente” afferma. “Depressione di sicuro, ansia, tutta la lista. Ancora oggi ne soffro, ma ho fatto terapia, prendo dei farmaci e mi sento molto meglio. Il fatto di parlarne con qualcuno mi ha cambiato la vita”. È stata ferita dai post sui social che insinuavano che la sua recente apertura su questi problemi dipendesse da “una moda”. Se mai, il fatto è che le giovani celebrità hanno gli stessi problemi dei loro coetanei. “Sicuramente è una questione generazionale” dice. “Mia mamma mi chiede ancora, ‘Perché hai bisogno dello psicologo?’”. Turner è semplicemente una “persona molto emotiva”, profondamente empatica. Passava il tempo a letto sdraiata a “piangere per il mio personaggio”, letteralmente, soffrendo per l’infinita sequela di pericoli che Sansa affrontava, nelle mani di alcuni degli uomini peggiori di sempre. “Le cose che ha affrontato quella ragazza sono semplicemente incredibili e orrende”, dice. Quello di Sansa è stato un lento viaggio per arrivare a prendere il controllo delle circostanze; è sempre stata più intelligente di quanto sembrasse, e Turner ci mostra attraverso i suoi cristallini occhi blu con quanta acutezza abbia esaminato il mondo che la circondava.

I guai di Sansa arrivano al loro apice nella quinta stagione, quando sposa il mostruoso Ramsay Bolton. Nella prima notte di nozze, la stupra di fronte a un altro personaggio: una scena straziante da guardare, forse la più controversa dell’intera serie. Non è certo il primo episodio di violenza sessuale in Game of Thrones, ma per alcuni è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Lo stupro non è strumentale alla trama” scrisse Jill Pantozzi sul web magazine femminista Mary Sue, annunciando che il sito non avrebbe più “promosso attivamente” Game of Thrones. Benioff e Weiss difesero l’episodio, ma a quanto pare è un tasto dolente. Quando chiedo in che modo le reazioni a quella puntata cambiarono il loro approccio, cancellano la domanda dall’intervista e-mail. Turner si aspettava le critiche, ma non è d’accordo. “Penso che il ritorno sia stato così negativo perché quelle cose succedevano davvero” dice, riferendosi alle radici medievali della serie. “Non possiamo fare finta di niente e non inserirle in una serie tv incentrata sul potere: è un modo molto efficace per mostrare cosa vuol dire avere potere su qualcuno”. Per lei, il fatto che la stagione si concluda con una Sansa “emancipata” che presiede alla meritata e cruenta morte di Ramsay Bolton – è tra coloro che decidono che sia divorato vivo, pezzo a pezzo, da un branco dei suoi stessi cani feroci – “è una grande svolta della trama. Ucciderlo con i cani è stata una delle scene che mi ha dato più soddisfazione. Mi ha emozionato molto, perché aspettavo da tempo di punire i personaggi che le avevano fatto così male”. Ha apprezzato molto anche la settima stagione, in cui una Sansa più saggia finalmente comincia a controllare le redini del potere. Secondo molte teorie dei fan, la serie potrebbe concludersi con Sansa che siede sul Trono di Spade come regina del Continente Occidentale: è un bell’azzardo, ma è sicuramente plausibile.


Foto: Nicole Nodland per Rolling Stone

“All’inizio ero gelosa di Maisie” racconta Turner, “perché poteva fare tutti quei combattimenti con la spada ed essere cattiva. Sapevo però che il mio personaggio era molto forte. Sansa si adatta meglio di Arya. Se Arya si fosse trovata nella situazione di Sansa, si sarebbe subito fatta tagliare la testa. E se Sansa fosse stata nei panni di Arya, l’avrebbero maltrattata fino a ucciderla… La lentezza dell’evoluzione della storia è stata molto frustrante, ma mi ha anche dato più soddisfazione. Sono felice che adesso abbia ottenuto il potere”. Vede delle analogie tra Hollywood e il Continente Occidentale. “C’è molto di Sansa in me”, dice. “Ti imbarchi in qualcosa e pensi che sarà un sogno meraviglioso, e poi capisci ‘Devo pensare bene alla strategia. E Harvey Weinstein è Joffrey o Ramsay. Forse anche peggio. Un Estraneo’”. Non ha mai lavorato con Weinstein, ma un altro regista caduto in disgrazia, Bryan Singer, ha diretto il precedente film degli X-Men. Singer ha diretto anche Bohemian Rhapsody, e Turner ripete le stesse cose che racconta il protagonista del film, Rami Malek. “Il tempo che abbiamo trascorso insieme è stato, come ha detto Rami, spiacevole”.

L’infanzia di Turner, nell’Inghilterra centrale, è stata infinitamente più comoda e noiosa di quella di Sansa: principalmente si divideva tra il set di Game of Thrones e la scuola. (Ha anche avuto uno stalker problematico quando era alle superiori: “Fu orribile”, dice a proposito). La sua ribellione adolescenziale è stata fin troppo normale, tipo rubare vodka da casa dei genitori per berla con gli amici al parco. Come Williams, all’inizio voleva diventare una ballerina: a undici anni rifiutò un posto nell’iper-competitiva Royal Ballet School per prendere lezioni di recitazione. Non aveva mai pensato che si sarebbe fidanzata così giovane, o che si sarebbe fidanzata in generale. “Mi stavo preparando a restare single per il resto della vita” racconta. “Ma quando trovi la persona giusta, lo capisci subito. Mi sento molto più vecchia della mia età. Credo di aver vissuto abbastanza da saperlo; ho incontrato abbastanza ragazze da saperlo. Non mi sento ventidue anni. Me ne sento ventisette, ventotto”. E a proposito di “ragazze”: “Tutti fanno esperimenti” dice, alzando le spalle. “È parte della crescita. Mi innamoro di un’anima, non di un genere”.

L’ultimo giorno di riprese di Game of Thrones nell’Irlanda del Nord, l’anno scorso, Williams era ancora nella sua fase no-lacrime. Si sentiva intontita. “Sono tornata nel mio camerino” racconta. “Ho fatto una doccia, perché ero sporca. Arya è sempre sporca”. È uscita, dopo essersi lavata via Arya Stark, ed è rimasta “in piedi nella luce di quel magnifico sole, il giorno più bello di tutti”. È andata nella roulotte dell’aiuto regista e ha afferrato una birra, mentre la troupe sanciva la fine di un’epoca: “Questa è la fine di Game of Thrones”. “Non sono uscita quella sera” dichiara Williams, “Perché non volevo dire un’altra volta addio a nessuno. Non puoi dire ‘Addio per sempre’ a questa serie. Non puoi farlo in un singolo giorno. È come un divorzio. Ci vuole parecchio tempo”. Da parte sua, Turner ha pianto un sacco, “Perché piango per tutto”, dice. Era particolarmente commossa quando Benioff e Weiss le hanno regalato uno storyboard della sua scena preferita di Sansa, che caso vuole sia l’ultima scena di tutta la serie. L’ha già incorniciata e appesa in casa; nessuno ci ha fatto caso. “Sono davvero soddisfatta del finale” afferma. “Ogni arco narrativo ha avuto un’ottima conclusione”. (Williams fa un’allusione un po’ criptica: “Dopo aver letto il copione dell’ottava stagione, ho riguardato la prima e ci sono un sacco di similitudini”). Se può fornire un indizio, Benioff e Weiss citano due finali che ammirano particolarmente: “Breaking Bad ci ha preso in pieno. Parliamo sempre anche del finale dei Soprano: per quanto possa essere stato controverso all’epoca, è difficile immaginare una conclusione migliore per quella serie, o per qualsiasi serie”.

Qualunque cosa succeda, almeno abbiamo rivisto Sansa e Arya Stark di nuovo insieme, al sicuro, a casa, anche se brevemente. “Per tutta la serie, l’unico motivo per cui Sansa voleva sopravvivere era la sua famiglia” dice Turner, che ha un tatuaggio che recita “Il branco sopravvive”, una citazione dalla serie. “Il potere della famiglia, l’unità, sono così forti che riescono a mantenere in vita le persone. È questa la cosa più importante che mi resta di Game of Thrones: la famiglia è tutto”. Sorride, seduta nel suo trono in un bowling, svapando. “Penso che papà Stark sarebbe davvero orgoglioso di noi”, dice.

***

Leggi altro