Alla fine erano dispiaciuti persino loro, i superstiti di un’epoca in cui la Regina e l’istituzione stessa della monarchia erano gli obiettivi primari della loro rivoluzione culturale. Parliamo dei Sex Pistols, ovviamente, e del movimento punk in generale. God Save the Queen era diventato l’inno di una generazione in subbuglio, adesso John Lydon, Steve Jones e Glen Matlock fanno condoglianze all’icona defunta e auguri di buon lavoro al nuovo re. I tempi cambiano, lo diceva Bob Dylan, e alla fine è cambiato pure lui a dire il vero, quindi, come si suole dire ci piace ricordarli così, i Sex Pistols, giovani e ribelli com’erano quando Malcolm McLaren mise insieme questa band composta da ragazzi squinternati che con un solo disco è entrata nella storia della musica.
Molti pensano che il merito sia stato di Sid Vicious, ma naturalmente non è così, anzi, il suo arrivo nella band ne decretò la fine, ma anche questa è una storia raccontata in Pistol, al netto del punto di vista univoco, quello di Steve Jones, dalla cui autobiografia è tratta la sceneggiatura della serie scritta da Craig Pierce, da sempre collaboratore di scrittura di Baz Luhrmann. E si vede, perché Pistol racconta questa storia poco punk con un registro molto glam, con una struttura discontinua, una regia sincopata e un montaggio frammentato. In realtà, quanto di più punk ci possa essere, ma non necessariamente funzionale alla messa in scena. Ma poco importa, alla fine anche i Sex Pistols sono stati trangugiati da quel sistema capitalistico che loro stessi cercavano di minare e distruggere, diventando una serie per Disney+.
Cast giovane e talentuoso, a partire da Toby Wallace che interpreta Steve Jones. Australiano, Wallace è stato co-protagonista di Babyteeth, coming of age con malattia come solo Down Under avrebbero potuto raccontare. A dare vita alla geniale cialtronaggine di Malcolm McLaren è Thomas Brodie-Sangster, l’attore che non invecchia mai, da Love, Actually a La regina degli scacchi. Mentre Sid Vicious ha il volto di Louis Partridge, visto accanto a Millie Bobby Brown in Enola Holmes. Grande cast femminile, da Maisie Williams nei panni di Jordan, icona e musa di Vivienne Westwood, quest’ultima interpreta dalla ex (due volte) signora Elon Musk, Talulah Riley, che del periodo sa molto per esperienza quasi diretta, come ci ha detto quando l’abbiamo incontrata a Londra. «Conoscevo i Sex Pistols già da bambina, mio padre era dentro la scena punk londinese negli anni Settanta e pogavamo le loro canzoni per divertirci. Ma la cosa più interessante nella serie a livello musicale è il contrasto tra le diverse correnti che stavano nascendo quell’epoca, è la colonna sonora che ti offre un inquadramento storico».
Tra le varie voci che erano a Londra in quegli anni c’era anche quella di Chrissie Hynde, che sarebbe poi diventata la leader dei Pretenders. La interpreta una figlia d’arte, Sydney Chandler, figlia di Kyle, uno dei migliori caratteristi del cinema americano degli ultimi anni. Probabilmente è la sorpresa più entusiasmante della serie, un talento naturale che ha già un suo metodo. «La produzione ci aveva messo a disposizione molto materiale su cui poterci documentare, sia sui nostri personaggi che sul periodo in cui si svolge l’azione. Ma ho preferito non andare troppo in profondità, mi sono concentrata su Chrissy cercando di farla mia, per poi farmi trascinare in quello che lei stessa avrebbe vissuto». Anche lei abbiamo avuto di incontrarla a Londra in occasione dell’anteprima di Pistol nel maggio scorso, tra pochi giorni la vedremo in Don’t Worry Darling, in cui interpreta una delle mogli perfette del Progetto Victory.
Come spesso accade, l’antagonista finisce con l’essere più interessante dell’eroe. Qui porta il nome di John Lydon, meglio noto come Johnny Rotten, e a interpretarlo è Anson Boone, all’attivo un piccolo ruolo in 1917 e un discreto thriller al fianco di un’altra giovane star che arriva da una serie, Emma Mackey (Sex Education). E da adesso in poi, probabilmente, una sfavillante carriera. O almeno questo gli abbiamo augurato quando ci abbiamo parlato.
Anson, cos’hai pensato quando ti hanno proposto di essere John Lydon?
Ero molto eccitato, naturalmente, perché i Sex Pistols sono una band senza tempo, basta andare a farsi un giro per Londra oggi e li troverai ovunque: ti basta entrare in un pub per sentire la loro musica o guardare i muri della città e prima o poi trovi un graffito che li ricorda. Mio padre poi era un deejay, quindi li conoscevo bene. John è un personaggio affascinante e ho cercato di leggere tutto il possibile su di lui per entrare nella sua mente: alla fine del viaggio, ho capito che è un genio.
Hai ragione su Londra, e anche a me piace tornare ogni tanto al 430 King’s Road, dove poco meno di cinquant’anni fa c’era SEX, la boutique di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren.
Capisco perfettamente cosa intendi, ha fatto parte del mio processo di ricerca andare lì davanti, dove c’è ancora la boutique di Vivienne che adesso si chiama Worlds End. Ho provato a vivere le stesse sensazioni di un cliente di quasi cinquant’anni fa, entrare e comprare qualcosa di unico, nel mio caso un paio di pantaloni rosa con l’intimo cucito fuori alla vista di tutti. Un concept ancora molto punk.
Per raccontare Londra, in generale e in particolare nel corso di quegli anni, c’è bisogno della giusta vibe, anche dietro la macchina da presa. Immagino che Danny Boyle non abbia mai avuto questo problema.
Assolutamente, Danny è prima di tutto un incredibile fan dei Sex Pistols e del punk in generale. Con la band aveva lavorato nel 2012, per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, per tutti noi lavorare con lui è stato fantastico. E, come hai detto, bisognava trovare la giusta vibe e lui lo ha fatto. Danny adora Londra, abbiamo girato in almeno cento posti in cui si erano esibiti i Pistols, ha anche ricreato il Marquee Club in green screen, è stato incredibile lavorare con un regista come lui e con uno sceneggiatore come Craig, che ha davvero scavato nelle personalità di ogni personaggio per rendere omaggio a un’epoca e a dei ragazzi che hanno fatto la storia della musica.
Una buona band deve essere anche molto affiatata. Come avete fatto a trovare il vostro equilibrio?
Siamo stati insieme per tre mesi per diventare un band, con dei music coach che ci hanno insegnato a suonare, cantare, muoverci sul palco. E dato che tutto questo lo abbiamo fatto durante il Covid, non eravamo autorizzati a vedere altri che noi. È stata un’esperienza immersiva definitiva, ma ha funzionato molto bene direi.
Pistol è arrivata su Disney+ lo scorso 8 settembre, lo stesso giorno moriva Elisabetta II. Il caso non esiste, però le coincidenze spesso fanno sorridere.