Quando la stampa ha fatto uscire il nome della giornalista Rula Jebreal come possibile ospite del Festival di Sanremo 2020, è successo il finimondo. La politica ha subito pensato a una partecipazione di parte, volta a screditare l’area della destra. È iniziato, quindi, un tira e molla: prima Rula c’è, poi Rula non può partecipare, infine la conferma: ci sarebbe stata. La giornalista con cittadinanza israeliana e italiana ha accettato l’invito, sottolineando che avrebbe parlato della condizione femminile. Motivazioni che non sono, evidentemente, bastate.
Giorgia Meloni ha tuonato: «Se Rula Jebreal va al Festival di Sanremo a spese dei contribuenti e a fare un monologo senza contraddittorio non mi sta bene». L’Italia dei social si è divisa su chi fosse pro e su chi fosse contro. Rula, invece, ha risposto spiazzando tutti: quando la stessa Meloni ha ricevuto intimidazioni l’analista di politica estera ha scritto un tweet: «La mia solidarietà a Giorgia Meloni. L’uomo che l’ha minacciata deve rispondere davanti alla Giustizia. Nessuna donna deve subire stalking, intimidazioni, minacce e censure per le sue opinioni». Poi è arrivato il monologo – bellissimo e disarmante – sul palco dell’Ariston. Rula ne è uscita vincitrice. Adesso, però, è ora di capire com’è andata a quasi un mese dalla fine della kermesse.
Tiriamo le somme su Sanremo.
C’è stata l’opportunità di parlare di temi importanti. Spero che questa “finestra” rimanga aperta, guardando a tematiche rilevanti, ai problemi reali del Paese. La speranza è che si continui, anche nelle trasmissioni nazional-popolari come Sanremo, a fare appelli in modo onesto e apartitico, per dare voce alle persone che non hanno la possibilità di raccontare la loro storia. Le somme si tirano solo se questa “finestra” aperta diventerà una “porta” e, poi, una “casa”. Sono entusiasta, ad esempio, che alcune delle big della musica italiana come Laura Pausini, Gianna Nannini, Giorgia e Fiorella Mannoia abbiano deciso di partecipare a questo bellissimo concerto contro la violenza sulle donne, “Una, nessuna, centomila”.
Che clima hai trovato nella Rai1 di Coletta?
Sono una fan del direttore Coletta, persona molto intelligente, umana e professionale. Un uomo straordinario che crede nelle cose che fa. Ha portato ottimi risultati alla guida di Rai3 e, sono certa, farà un lavoro altrettanto eccellente sull’ammiraglia Rai. A Sanremo il suo apporto è stato fondamentale: senza di lui e Amadeus non ci sarei stata. È la persona che ha firmato il mio contratto.
Ah sì?
Il mio contratto era fermo per mesi, è arrivato lui e si è sbloccato tutto. E poi è stata una persona di grandissimo aiuto.
In che senso?
Mi ricordo una cosa: erano le sette di sera del giorno della messa in onda. Stavo ancora facendo le prove all’Ariston, con il pianista. Coletta è arrivato, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Andrà bene, sono sicuro». È stato talmente umano, mi ha fatto commuovere. Un grande professionista che sa motivare chi lavora con lui, tirando fuori il meglio dalle persone.
Senti, ma cosa è successo con Roger Waters e il video-messaggio non mandato in onda?
Durante le prove ci siamo resi conto dell’intensità che si creava nel leggere il monologo. Insieme a Coletta abbiamo pensato che qualsiasi altra cosa ne avrebbe diminuito la portata. Così si è deciso di non mandarlo in onda.
Sai che sui social ci sono stati alcuni commenti di utenti che hanno mal digerito il monologo, dicendo che lo stalking c’è anche verso gli uomini?
I numeri parlano da soli. E dovrebbero disturbare qualsiasi essere umano, oltre che farci riflettere. Chi commenta in questo modo non sta guardando nella giusta direzione. Il monologo non era un attacco agli uomini, ma un invito a collaborare tutti insieme per questa emergenza nazionale. Il fatto che non se ne parli tutti insieme mi sorprende, il fatto che il 90% delle donne non denuncino per paura è un dato drammatico, come pure che tre milioni di donne vengano molestate sul posto di lavoro. Ci sono purtroppo contesti nei quali il corpo della donna è da usare e abusare, come fosse una proprietà privata. Siamo nel XXI secolo, è ora di finirla con questi atteggiamenti barbarici. Bisogna abbattere la cultura che rende la violenza sessuale e lo stupro una normalità della vita quotidiana.
Come si può mettere la parola “fine”?
C’è bisogno di una rivoluzione culturale: chi violenta e picchia le donne non può avere più diritti delle vittime. Spesso le stesse vittime sono brutalizzate due volte: dal carnefice che ha usato loro violenza e da un sistema legale e culturale che non incoraggia la denuncia, che a volte non le ascolta abbastanza, che non crede in loro e non agisce prontamente per tutelarle in modo adeguato. Come se il crimine che hanno subito fosse non sufficientemente rilevante.
Da cosa si può partire?
Dall’educazione! Le donne che hanno protestato in India per la sicurezza e l’uguaglianza sottolineano una cosa: «non diciamo alle nostre figlie di non uscire la sera, ma insegniamo ai nostri figli a comportarsi bene».
Catena Fiorello, in una recente intervista al Corriere della Sera ha detto: «Se Rula deve raccontare quella bella storia drammatica per attirare l’attenzione, tutta questa parità non c’è»…
Ha ragione. Siamo ancora lontani dalla parità, basti pensare alla disuguaglianza salariale: le donne, in Italia, guadagnano il 25% in meno degli uomini a parità di lavoro. Nel nostro Paese c’è ancora molto da fare, vi è ancora molta disuguaglianza di genere per le opportunità lavorative. Gli Stati vengono valutati anche in base al valore e alla protezione che sono riconosciute alle donne. Dobbiamo garantire parità, rispetto, protezione e cura per chi denuncia.
Voltiamo pagina, come viene percepita l’Italia dall’America?
Ogni Paese si rivolge agli altri per dati economici e per politica estera. Non sono sicura di come l’amministrazione Trump guardi all’Europa che, per fortuna, grazie al mercato unico, ha una forma forte di protezione politica e economica, che garantisce i diritti ai propri cittadini. Quando sei in trattativa con stati dal volume massiccio, anche in termini demografici, quali la Cina e l’America, le possibilità sono due: se sei solo non vieni considerato oppure, sei un paese membro di un’alleanza europea, hai peso perché l’alleanza rappresenta 500 milioni di abitanti. I leader che capiscono il significato del potere delle trattative, capiscono che coloro che hanno voluto la Brexit hanno indebolito l’Inghilterra, che ha lo stesso numero di abitanti di una provincia cinese. È una questione di potere. C’è bisogno di più Europa. Altrimenti saremo fagocitati.
Si percepisce un certo clima d’odio?
Dopo quello che è successo ad Hanau in Germania, ho il timore che stia dilagando questo odio che uccide le persone semplicemente perché appartengono a una religione diversa. Le minoranze sono un facile capro espiatorio. E la propaganda di odio spesso porta a derive estremamente pericolose, la storia ce lo insegna. C’è un fenomeno globale, di matrice fascista, che sta diventando militante, armato, e può macchiarsi di sangue, di massacri. Basti pensare all’India e alla furia dei pogrom – estremisti anti cristiani. Dobbiamo prestare attenzione a questi fenomeni, non retrocedere. E l’Italia non è esclusa.
Ci sono anche molti politici che incitano all’odio verso il diverso con l’aiuto del megafono dei social.
Quando parliamo di parità la chiediamo per tutti. La Costituzione italiana è antifascista e parla di uguaglianza, di diritti e di doveri per tutti. Se siamo leali verso questa Costituzione non dobbiamo discriminare. Sappiamo già a cosa portano le divisioni, anche nel nostro Paese.
Ok, ma che mi dici dei leader politici? Trump recentemente se l’è pure presa con la vittoria di Parasite, dicendo: «Ha vinto un film della Corea del Sud! Ma che diavolo è successo? […] Ci ridate Via col Vento per favore? […] Il miglior film viene dalla Corea del Sud. Pensavo fosse il miglior film straniero, e invece no, miglior film!»
Razzismo puro verso le persone asiatiche in un Paese in cui, tra l’altro, ci sono moltissimi asiatici americani. Trump ha anche preso in giro Greta Thunberg. Normalizzare abusi di questo tipo autorizza altri all’emulazione. Come quando il presidente del Brasile Bolsonaro ha detto a una deputata di sinistra «È troppo brutta, non è il mio tipo. Non la stuprerei mai». Se i leader non riescono a rappresentare l’esempio verso i valori più alti, allora abbiamo fallito tutti. In questo, purtroppo, dobbiamo constatare un disarmante fallimento.
C’è un modo per non fallire?
Ispirare ed educare le generazioni future. Solo così potremo eleggere leader che hanno, come primo obiettivo della propria agenda, il bene comune, non il proprio interesse o la necessità di consolidare il consenso popolare nelle prossime elezioni.
Come si può raggiungere questo obiettivo?
La violenza non si combatte con la violenza. Bisogna educare soprattutto i giovani e informare l’opinione pubblica, noi giornalisti abbiamo un ruolo fondamentale. I partiti politici che non mi volevano sul palco dell’Ariston temono la libera informazione. La battaglia per il controllo dell’opinione pubblica passa dall’esclusione delle voci scomode.
Cosa infastidiva di te?
Rappresento un modello che loro stanno attaccando. Un modello di integrazione, di multiculturalità, di libertà, temono le persone indipendenti intellettualmente. Si può restare pensanti e portare avanti battaglie per uguaglianza e dignità con determinazione, senza paura, con dignità e rispetto. Quelli che non mi volevano a Sanremo sono contro questo modello, non contro di me come persona.
Cosa consigli di fare per contrastare questa opposizione?
Bisogna portare avanti questa battaglia in tutti i campi, in primis nelle scuole e nelle università. La cosa più bella di Sanremo sono stati i messaggi privati degli insegnanti che mi hanno detto di aver fatto ascoltare il mio discorso ai loro studenti. Ci sono state tante donne – e anche uomini – che mi hanno parlato del loro dolore, del loro recupero. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di un’istruzione elevata: l’autoritarismo vince quando siamo nell’oscurità e quando non siamo bene informati. La nostra generazione ha l’obbligo morale di informare gli altri. Ci sono giornalisti che muoiono per portare avanti un’informazione onesta e veritiera, che mostra il vero volto dei regimi. Questi colleghi sono i guardiani della verità e devono ispirarci. La libertà di informazione ci salverà.