Benvenuti nel deep Sanremo. Anche il festival ha il suo lato cospirazionista e in fondo perché non dovrebbe essere così, se la terra è piatta e bere Amuchina sembra essere il miglior vaccino da raccomandare? Dunque, dicevamo. Esiste un deep Sanremo e se volete addentrarvi nel Lato Oscuro dell’Ariston dovete seguire The Jackal. Saranno loro a darvi le risposte che gli altri tengono gelosamente per sé: per esempio, l’anno scorso sono stati gli unici a spiegare le vere ragioni dello scazzo Bugo-Morgan. Senza contare che hanno un filo diretto con Beppe Vessicchio e, credetemi, un aggancio così fa la differenza… Quest’anno, tra l’altro, la copertura sarà massiccia: i Jackal non ci racconteranno il vero volto della kermesse e dei suoi protagonisti “solo” su ogni social esistente sul pianeta Terra, da Instagram a Tik Tok, passando per YouTube. Ora lo faranno anche via audio: The Jackal – Tutto Sanremo ma dura meno è il loro debutto nel mondo dei podcast, nonché il primo podcast originale di Spotify, disponibile dal 24 febbraio (per chi ama i tecnicismi: è realizzato dai Jackal con Ciao People Studios per Spotify, in collaborazione con Show Reel Agency). Il team è quello di sempre: Ciro Priello insieme ai suoi amici e complici Gianluca Fru, Fabio Balsamo, Claudia Napolitano, Simone Ruzzo, Aurora Leone.
Il titolo è già un’ottima premessa: Ciro, dicci di più.
Tutto Sanremo ma dura meno sarà una chiacchierata molto informale sul Festival, divisa in due parti: le puntate che precedono l’inizio di Sanremo saranno dedicate alle scorse edizioni della kermesse, poi dal 2 marzo ci tufferemo a bomba sull’edizione 2021. Devo dire che è stato interessante studiare il passato di Sanremo: ho scovato dei particolari che onestamente non conoscevo. Per esempio, è solo grazie a Baudo se la conduzione e la direzione artistica possono coincidere: prima non era contemplato. Per non parlare dei vari, intricatissimi meccanismi di voto.
Rassicuraci: anche quest’anno lancerete la mitica frase tormentone, chiedendo ai cantanti di ripeterla sul palco dell’Ariston?
Eh, questo non te lo posso rivelare! Posso invece dirti che stiamo preparando un progetto che racconterà una storia dietro il Festival. Ci ha sempre affascinato l’idea di un deep Sanremo: vogliamo continuare a ironizzare su quelle situazioni strane che accadono su quel palco e che sembrano senza risposta.
Va detto che molti cantanti stanno al gioco assecondando le vostre assurde richieste… Dimmi la verità, cosa promettete loro in cambio?
Nulla: li ricattiamo e basta! (ride) Tra l’altro, è partito tutto come un gioco: abbiamo iniziato cinque anni fa a commentare Sanremo così, per divertirci. Non c’era alcun progetto pianificato a monte e, sempre per divertimento, abbiamo pensato di portare un pezzo della nostra community sull’Ariston. Abbiamo quindi iniziato a lanciare delle piccole sfide, poi la frase tormentone e via via la cosa è cresciuta… Credo che i cantanti sposino volentieri i nostri inviti perché colgono lo spirito giocoso dell’iniziativa e, in fondo, è un modo per alleggerire la tensione del Festival. Con le nostre richieste portiamo un po’ di ironia in una kermesse pomposa e istituzionale.
Di loro, c’è però qualcuno che vi ha stupito?
Beppe Vessicchio, nel 2017. Quell’anno lui non volle dirigere l’orchestra e noi ci inventammo il format Intanto Vessicchio: era fatto solo di meme, che lo vedevano coinvolto in situazioni completamente assurde. A un certo punto, senza che glielo chiedessimo, Vessicchio ci mandò di sua iniziativa un suo video setting. Quando lo abbiamo ricevuto siamo esplosi in un urlo di gioia come quando il Napoli segna al 90’! Devo dire che Sanremo ci regala davvero grandi emozioni.
Ricapitolando: siete su Youtube, sui tutti i social e ora pure su Spotify; fate video virali legati ai più famosi show (Sanremo, Gomorra, X Factor…), ma anche spot pubblicitari; avete debuttato al cinema e ora state lavorando a una serie tv. Esiste al mondo qualcosa che desiderate ma non siete ancora riusciti a fare?
Il giornalista: quello mi manca! Battuta a parte, il sale del nostro mestiere è proprio la sperimentazione. Abbiamo iniziato come videomaker, ma poi ci siamo resi conto che i contenuti possono essere veicolati in modi e su supporti diversi, come per esempio il podcast. Spero che non ci stancheremo mai di sperimentare perché il nostro lavoro non inizia e finisce in ufficio ma vive di note vocali, dirette Instagram, messaggi su WhatsApp e soprattutto di sogni. Consiste infatti nell’immaginare situazioni per poi renderle reali.
Sfatiamo insieme alcuni luoghi comuni legati al web. Il primo: i fenomeni web si sgonfiano appena si misurano con il cinema e la tv. Vero o falso?
È chiaro che stiamo parlando di linguaggi sicuramente diversi: la sfida sta nella capacità di saper rimodulare i contenuti a seconda dei vari mezzi. La difficoltà però è solo questa: è “tecnica”. Per il resto non importa da dove provieni, anche se è innegabile che quando debutti al cinema o in tv il pregresso del web viene visto come un fardello.
Il vostro film Addio fottuti musi verdi non è per andato benissimo: con il senno del poi, cosa non ha funzionato?
Dal nostro punto di vista il film è andato più che bene, se non altro perché si trattava di un’opera prima e di una commedia di genere alla Bud Spencer e Terence Hill, che ormai nessuno faceva più da tempo. Il pubblico del web non è certo quello che va al cinema, però, dopo questa esperienza nelle sale, abbiamo acquisito una tipologia di spettatori che prima non vantavamo… Quindi l’investimento sul film ci ha ampiamente ripagato.
Altro luogo comune: il web è un posto solo per giovani. Voi ormai siete grandicelli: sentite il ticchettio dell’orologio biologico?
Sui social funziona l’idea, al di là di chi la interpreta. Punto. Per esempio, io stesso seguo molti personaggi stranieri sui social, che sono amatissimi ma molto più grandi di me. L’idea vale più di qualsiasi altra cosa.
Di recente avete ampliato il team, che prima era fortemente al maschile: cosa vi ha conquistato di Aurora Leone e Claudia Napolitano?
Già da un po’ di tempo volevamo ampliare le frecce al nostro arco, ma all’inizio non riuscivamo a trovare i giusti profili femminili. Oltre che essere autore e attore dei Jackal, mi occupo personalmente anche dei casting, e le proposte che mi arrivavano non mi convincevano. Aurora e Claudia ci sono invece piaciute subito perché avevano le skill giuste per lavorare con noi: Aurora è molto ironica, con un’energia fantastica, per certi versi ci ricordava Fru al femminile. Claudia è un’attrice bravissima, in grado di rendere sia il comico che il drammatico. Sono entrambe fondamentali perché ci propongono dei punti di vista diversi.
Dal 2006, anno della nascita dei Jackal, a oggi cosa è cambiato nel vostro modo di approcciare il web?
Siamo sempre noi. Forse è aumentato il senso di responsabilità perché sappiamo di parlare a tante persone. Da qui, il nostro impegno a veicolare messaggi eticamente giusti.
Senti, tu nel 2004 eri nella scuola di Amici di Maria De Filippi. Com’è possibile che Maria, che parla sempre bene di tutti i suoi allievi, non ti abbia mai nominato?
Temo non si ricordi di me…
Non ci credo. Racconta: cos’hai combinato ad Amici?
Fin da bambino sognavo di fare il ballerino. Ho quindi studiato danza diventando professionista: lavoravo nella compagnia di Enzo Paolo Turchi e Carmen Russo. Mi era però sempre piaciuta l’idea di poter partecipare a un programma come Amici e così, nel 2004, mi convinco e vado a fare i provini: supero tutte le selezioni, arrivo fino alla serata finale a settembre quando ti dicono se sei ammesso o non ammesso. Purtroppo non entro: non arrivo nemmeno davanti al microfono. Fu per me una bella botta anche perché ho sempre amato il mondo della danza… Tuttavia non ho deciso di buttarmi sulla recitazione di punto in bianco: già alle scuole medie recitavo con i ragazzi. Anche quella era una mia passione. Diciamo che, semplicemente, con il tempo ho capito che lavorare di sola danza sarebbe stato davvero difficile, a meno che non ti chiami Roberto Bolle o non sei presente in contesti tv.
Quindi non rivedremo mai il Ciro ballerino?
Dentro di me continuo a coltivare il sogno di dare vita a un musical alla La La Land o West Side Story. Sono cresciuto guardandoli.
E con Maria De Filippi? Non dirmi che è tutto finito così.
In realtà volevamo coinvolgerla in un’idea, ma poi si è messa di traverso un’interferenza chiamata pandemia e abbiamo dovuto rimandare…