Nel 1989, quando Damon Lindelof era un adolescente, lui e il padre, appassionato di fumetti, spesero 35 dollari per una copia pirata dello script di Watchmen, tentativo dello sceneggiatore Sam Hamm di adattare la decostruzione seminale dei supereroi targata Alan Moore e Dave Gibbons. Mentre mangiavano dei panini, il papà di Lindelof iniziò a leggere ad alta voce la scena di apertura, dove i terroristi attaccano la Statua della Libertà e vengono fermati da un team di supereroi che si erano auto-definiti ‘Watchmen’. La sequenza interpretava in modo così sbagliato diversi aspetti del materiale originale che il padre, come ricorda Damon 30 anni dopo, reagì esclamando: “Che cazzo è questa roba?”.
Oggi Lindelof considera quel fumetto molto influente su una carriera che include hit come Lost e i film di Star Trek diretti da J.J. Abrams (che ha co-sceneggiato), classici di culto come The Leftovers (alias il miglior programma televisivo degli anni 2010) e lavori divisivi come il finale di Lost o i suoi copioni per Prometheus e The Hunt, una pellicola satirica sui liberali che se la prendono con i repubblicani, che la Universal ha recentemente accantonato dopo le critiche del presidente Trump. È quindi cosa buona e giusta che ci sia lui dietro la nuova versione tv di Watchmen targata HBO, ed è ironico che la prospettiva di Lindelof sia una deviazione dal lavoro di Moore e Gibbons al punto da poter immaginare i padri appassionati del fumetto nel 2019 chiedersi: “Che cazzo è questa roba?”.
La serie si svolge 34 anni dopo gli eventi della graphic novel ed è collegata ad essa in molti modi. I villain principali, i membri razzisti del Settimo Cavalleria, indossano maschere ispirate al vigilante Rorschach. Jean Smart interpreta Laurie Blake (ex Laurie Juspeczyk, ex Spettro di Seta) e Jeremy Irons è una versione invecchiata del geniale eroe/cattivo Adrian Veidt, aka Ozymandias. Ma a prima vista l’ambientazione dello show (Tulsa, Oklahoma), il tema principale (la supremazia bianca) e gli altri protagonisti (l’ensemble comprende Regina King, Tim Blake Nelson e Don Johnson nei panni di poliziotti locali) sembrano molto lontani dal fumetto che aveva folgorato il giovanissimo Lindelof.
Abbiamo parlato con lui dell’enorme ombra che Watchmen ha proiettato sulla sua carriera di sceneggiatore, del perché a metà del progetto si è convinto che fosse “l’errore più grande” della sua vita e di molto altro, Lost compreso.
Quando hai scoperto Watchmen?
Ho letto i primi due numeri insieme. Avevo 13 anni, era la primavera del 1986. Ricordo che mio padre me li ha dati dicendo: “Non sei pronto per questo”. Era una specie di sfida.
Qual è stato il tuo primo pensiero?
Prima di tutto, che era un fumetto per adulti. Il primo numero di Watchmen è scioccante, molto violento, roba da grandi. Ripeto, avevo 13 anni. Non avevo mai avuto esperienze con la pornografia, forse avevo intravisto un Playboy. La sensazione di leggere Watchmen non era diversa: “Questo non fa per me”. L’idea che si trattasse di un fumetto e che, allo stesso tempo, non fosse adatto a me perché ero un bambino, mi ha un po’ mandato in pappa il cervello. Soltanto provare a capire cosa raccontasse Rorschach nel suo diario, mi faceva venire le vertigini. Sembrava molto più reale di tutti i fumetti che avevo letto prima. Sapevo che Richard Nixon non era più il presidente degli Stati Uniti, ma c’erano altre cose di cui non ero sicuro, confondevo storia e attualità. E credo che la mia introduzione al concetto di stupro sia stata proprio con il secondo numero di Watchmen, pensavo: “Sally viene attacca dal Comico”. Non avevo davvero capito che fosse stata aggredita sessualmente fino a un paio d’anni dopo.
C’erano parti del fumetto che non comprendevi allora e che invece ora hai capito?
Tantissime. All’inizio della fase di sceneggiatura abbiamo istituito un club del libro su Watchmen: in pratica rileggevamo un numero e ci incontravamo per analizzarlo pagina per pagina. C’erano ancora aspetti da approfondire, anche a 45 anni. Non parlo di cose che mi ero perso, ma di nuove rivelazioni o particolari in termini di complessità della storia.
Quanto e in che modo Watchmen ha influenzato quello che hai fatto prima?
Molto? Questa è la risposta breve. L’idea del realismo psicologico, si chiede perché le persone si comportino nel modo in cui si comportano. E ovviamente, il fatto che in ogni numero cambi il punto di vista dei personaggi. Di solito è facile identificare l’eroe, persino nella saga degli Avengers: sono film corali ma è chiaramente la storia di Tony, al centro c’è lui. Con Watchmen faccio ancora fatica a rispondere alla domanda: se devi scegliere un protagonista, chi sarebbe? Forse direi Rorschach, perché è il suo diario far partire tutto. Ma posso argomentare con la stessa passione a favore di ognuno dei personaggi. È il fumetto stesso ad affermare: “Questa è la storia di Gufo Notturno, questa quella di Adrian Veidt”. Chiaramente è un modello molto usato in Lost e, soprattutto, si tratta di storytelling non lineare. Non solo in termini di utilizzo del flashback lungo ma – vedi il numero del Dr. Manhattan – ho cercato di replicare a modo mio l’idea di raccontare una storia fuori dal tempo. Senza dubbio non ci sarebbe Desmond Hume senza Dr. Manhattan. L’ho copiato, diciamo le cose come stanno.
Cosa pensi del film di Zack Snyder?
Zack sapeva che ero un drogato di Watchmen, quindi mi ha contattato dopo la fine delle riprese per chiedermi: “Ti va di vederlo? Organizzo una proiezione per amici e familiari”. Era troppo presto, il film era lungo quasi un’ora in più di quello che è uscito al cinema. Billy Crudup era coperto di piccole lampadine blu e indossava una calzamaglia. Gli effetti speciali non erano ancora stati messi a punto e la visione ha richiesto un certo livello di immaginazione. Guardando il film a quel punto della lavorazione, ho perso tutta l’obiettività. È stato come se David Copperfield mi avesse portato nel backstage dicendo: “Voglio la tua opinione su questa illusione che sto per fare”. Non sarei mai stato in grado di vedere il numero senza pensare: “So cosa c’è dietro”.
Detto questo, il mio pensiero sul film di Zack – mediato anche dal fatto conosco lui – è che il suo amore per Watchmen sia davvero genuino. Non voleva fare soldi, adora il fumetto, è in grado recitare interi capitoli e battute a memoria. Il suo desiderio di fare un bel lavoro – e parlo io che ho appena finito la mia prima stagione di Watchmen, e non so se ho fatto qualcosa di buono – era così intenso e vero, che facevo un tifo sfegatato per lui. La mia critica principale al film però è che non puoi prendere 12 numeri e comprimerli in un lungometraggio. Il tratto caratteristico di Watchmen è la sua densità, la sua combustione lenta, non si presta a un adattamento cinematografico. Se il mandato è: “Fai questo film in modo che possiamo distribuirlo in sala, non può durare più di tre ore”, devi inserire i momenti più forti del fumetto. Quindi non c’è modo di fare un prodotto migliore di quello di Zack Snyder, secondo me. Non starò qui a girare il coltello nella piaga puntualizzando: “Come si fa Watchmen senza Max Shea e il Vascello Nero?” La risposta è impossibile.
Quindi quando hai avuto la possibilità di curare lo show, avresti potuto fare un adattamento del fumetto che includesse tutte le cose per cui Zack non aveva spazio. L’hai preso in considerazione?
Ci ho pensato. La prima volta che mi sono avvicinato al progetto in modo informale, abbiamo sentito queste critiche là fuori nello zeitgeist che il film doveva essere inserito in una certa scatola, e se avessi potuto farlo come un serie tv d’autore? Parlo del 2011 o 2012, il film era uscito da non molto. Non pensavo di poter fare Watchmen meglio di Zack, anche come tv drama. Devo trovare un attore che interpreti Gufo Notturno meglio di Patrick Wilson? Costruire un Gufo volante diverso? Pensavo: la gente ha già visto quella storia, non sarò in grado di farla meglio di Zack Snyder, quindi perché preoccuparsi? E, ancora più importante, il motivo per cui guardo la televisione, le cose che amo e alle quali penso prima di andare a letto e mentre guido la mia auto, è tutta roba di cui non conosco il “dopo”. Quel tipo di eccitazione è impossibile da creare con Watchmen. Quando vedi un tizio dai capelli rossi con il cartello “La fine è vicina” nel pilot, sai che è Rorschach. Se semplifichi le cose, neghi al pubblico tutte le rivelazioni emozionanti che ci sono nel fumetto. Mi sono reso conto che, anche facendo la mia migliore versione del capolavoro di Alan e Dave, sarei stato solo una cover band. Quindi non sarebbe successo.
E, prima o poi, dovremo parlare dell’elefante nella stanza: Alan. È stato molto esplicito: non voleva che questi 12 numeri fossero adattati per qualsiasi altro media che non fosse il fumetto. Ha anche detto molte altre cose che ho ignorato, ma su questo ero d’accordo con lui.
Una volta deciso di non fare un adattamento letterale, come sei arrivato a questa versione?
Sono costretto a essere un po’ evasivo, perché quello che mi ha convinto a usare questo approccio a Watchmen è la grande idea dietro alla stagione. Capirete non appena vedrete. Ma nel frattempo, posso parlare di altre cose, che a fasi alterne mi fanno sentire orgoglioso di me stesso e mi fanno anche venire voglia di darmi un pugno in faccia, perché sono pretenziose. Preferisco essere ispirato da cose a cui tengo molto rispetto al concetto “lo faccio perché lo guarderanno tantissime persone e guadagnerò un sacco di soldi”. Avendo creato un paio di serie tv, per me era importante lavorare su qualcosa di diverso. Non solo: “Ok, Damon”, mi dicevo.”Hai messo in dubbio la spiritualità e lo scopo del perché siamo su questo pianeta, se esiste una ragione o è del tutto arbitrario. Abbiamo capito, amico. L’abbiamo intuito con Lost e, dopo The Leftovers, lo abbiamo compreso a fondo. Le crisi esistenziali sono terribili. Grazie per aver affermato l’ovvio, ancora e ancora. E poi tuo padre non ti ha detto abbastanza che era orgoglioso di te, va bene. Ma cos’altro sei in grado di fare? Abbiamo sentito che suoni Joshua Tree. Sperimentiamo un po’”.
Soprattutto negli ultimi cinque anni, ho trascorso molto tempo pensando alla situazione politica, a come l’America è arrivata dove è arrivata e alle tematiche razziali. Sono un uomo bianco e ho tutti i vantaggi del caso, ma la questione mi colpisce profondamente. Ho evitato di parlarne nel mio lavoro, perché ogni volta che ci ho provato, non mi sentivo in grado di dire nulla proprio perché sono bianco. Ma ci penso ancora, leggo, discuto e ci rimugino parecchio – anche se dalla mia posizione di osservatore la cui vita non viene influenzata: non vengo fermato dagli sbirri, non devo preoccuparmi che i miei figli vengano arrestati o incarcerati senza motivo. Ma provo sentimenti molto forti, e sento che devo iniziare a metterli nel mio lavoro.
Questo stato d’animo coincideva con la lettura di The Case for Reparations, un saggio che Ta-Nehisi Coates scrisse per l’Atlantic e che era diventato virale. Mi ha scosso profondamente . Queste cose che in un certo senso sapevo, ma che non volevo pensare o affrontare, erano lì, presentate in un modo incredibilmente appassionato, bello e convincente. E, nell’articolo, Coates menzionava il massacro di Tulsa del 1921 e l’esistenza e la distruzione di “Black Wall Street”. Non ne avevo mai sentito parlare. Per documentarmi ho cercato e trovato un libro, ma ho dovuto comprare una copia di seconda mano tramite Amazon. L’ho letto, nel frattempo mi avevano chiesto se volevo lavorare a Watchmen per la terza volta. I pianeti si sono allineati. E questa serie è il risultato.
In quanto bianco privilegiato avevi paura a scrivere di tematiche razziali, ma alla fine hai realizzato ben nove episodi. Come pensi che sia andata?
Non lo so. Il mio atteggiamento variava da “sento la necessità di occuparmene, e lo farò al meglio delle mie possibilità” a “è stato il più grande errore della mia vita, sono stato un pazzo e un irresponsabile. Non è una storia che avrei dovuto raccontare io”. Questo è il ritornello che mia moglie e il mio terapeuta continuavano a sentire. Non sono tipo che dice “Ho spaccato!”, non è falsa modestia, è solo che il mio cervello funziona così. Non passo il tempo a mettere i piedi sulla scrivania e ad accendere sigari. La mia speranza è che questa stagione di Watchmen non venga percepita come una strumentalizzazione e, soprattutto, sia autentica. Il mio materiale funziona se sembra vero, anche quando lo storytelling è folle e selvaggio. Gli episodi di International Assassin non dovrebbero stare in piedi di per sé perché, se spieghi cosa succede a qualcuno che non guarda The Leftovers, penserà che è stupido. Ma se segui la serie, capisci che è stata creata da qualcuno che ci tiene davvero, come se stesse raccontando qualcosa della vita attraverso la lente della serie.
Un altro tema che mi ha affascinato è quello della nostalgia. ‘Nostalgia’ è il nome del profumo che Adrian Veidt vende nel Watchmen originale, mentre sta preparando la sua prossima fragranza, ‘Millennium’. Per questo mi sono ispirato a Midnight in Paris: la morale di quel film è che ogni generazione pensa di voler vivere negli anni di quella precedente. Owen Wilson vuole frequentare Hemingway e Hemingway avrebbe voluto essere nella Ville Lumière ai tempo d’oro del Moulin Rouge. Penso che la nostalgia sia pericolosa, tossica. Non voglio fare un discorso politico, ma questa volontà di tornare indietro, nel passato, in particolare quando guardi quell’idea attraverso i concetti di razza e diseguaglianza nel nostro Paese, è un male. Vedo cattiveria nei dipinti di Norman Rockwell, e volevo parlarne anche io.
Visto che la serie è così diversa dal fumetto, cosa diresti a qualcuno che chiede: “Come giustifichi il titolo Watchmen?”
La mia giustificazione è che ci sono personaggi dell’originale. E, soprattutto, che abbiamo ereditato un mondo dagli Watchmen originali che è in continuità con questo. È successo tutto ciò che è accaduto in quei 12 numeri. Non cancelliamo né cambiamo nulla. Quindi non chiamare questo show Watchmen sarebbe disonesto e probabilmente illegale. La serie parla continuamente con Watchmen, è la sua continuazione. Ecco un altro motivo cui vorrei darmi un pugno in faccia: ho definito la mia versione un remix, perché non mi sembrava un sequel. Ma funziona secondo le regole tradizionali di un sequel, perché segue cronologicamente l’originale. Però è anche una specie di prequel, perché questa storia inizia nel 1921 e precede uno degli eventi del fumetto.
Ho provato a creare il Watchmen che volevo vedere da fan. Ci sono persone che fanno adattamenti e dicono: “Ho dovuto mettere da parte il libro per fare il mio lavoro”. Io sto ancora leggendo Watchmen, lo sfoglio continuamente. Ne sono innamorato ancora più profondamente di quanto non ne fossi prima. È un capolavoro, punto e basta. Detto questo, credo che quello che ha reso Watchmen tale sia l’aver corso dei rischi. Sfugge a qualsiasi definizione di genere. L’originale è un sequel, ma la prima storia non è mai stata scritta. Ti porta in un mondo in cui tutto quello che è successo negli anni Trenta e oltre dà una spiegazione a ciò che sta accadendo negli anni Ottanta; semplicemente non ne sai ancora nulla. Potremo confrontarci in maniera più consapevole su dove si colloca questo Watchmen dopo la fine del nono episodio.
E mi incuriosisce molto sapere come elaborerà lo show chi non conosce la fonte rispetto a chi è cresciuto con Watchmen. Per il primo episodio ho immaginato due persone sedute in una stanza: una non ha mai visto nulla, nemmeno il film di Zack, mentre l’altra ha letto il fumetto un milione di volte. Il mio desiderio è che, alla fine del pilot, il vergine di Watchmen dica all’esperto: “Sono confuso, puoi spiegarmi questa cosa?, e l’altro replichi: “No!”. Insomma, ci sono dentro insieme.
Ovviamente, andando avanti con gli episodi, chi conosce bene il materiale di partenza giudicherà la serie a un livello diverso rispetto alle persone che non hanno familiarità con l’originale, ma questo non significa che lo apprezzerà di più. Penso che sarà più difficile, perché necessariamente possono guardare lo show solo in un’ottica di confronto. Si chiama Watchmen, ha personaggi dell’originale, il creatore Alan Moore pensa che sia un abominio. Questi sono tutti ostacoli all’apprezzamento, ne sono perfettamente consapevole. Non sarà divertente – e per questo sono felice di non avere un profilo Twitter – ma lo sapevo quando ho iniziato a lavorare a questo progetto.
Parliamone, non ti piace essere criticato duramente. E hai preso questo testo sacro per farne una versione radicale: sai che confonderà i fan, li farà arrabbiare. Perché fare questo a te stesso?
(Fa una lunga pausa, seguita da un sospiro profondo, e scherza, nda) Scriverai tra parentesi: Lindelof sospira, vero? L’unica risposta onesta a questa domanda è che mi sento in debito con Watchmen. E questo era il modo di saldarlo. E nel ripagarlo, sapevo che avrei dovuto essere massacrato.
Come pensi che sia cambiato il comportamento dei fan dalla fine di Lost?
Prima di tutto, non credo sia giusto generalizzare, ma possiamo riconoscere che è peggiorato molto. È stato brutto, molto sgradevole, ma non al livello del Gamergate. Nessuno minacciava di uccidermi o di fare del male alla mia famiglia perché facevo uno show televisivo. Il vantaggio di essere un maschio bianco è che sono meno propenso a ricevere quelle minacce, mentre se fossi una donna o una persona di colore sarebbe parte integrante del lavoro. Detto questo, guarda cosa è successo alla fine di Game of Thrones. Quel livello di tossicità, per cui i creatori e gli attori hanno dovuto nascondersi per un mese, non penso sia una cosa buona. I fan hanno il diritto di non apprezzare il nostro lavoro. Ma c’è una differenza tra il non gradire qualcosa e l’avvio di una petizione per girare di nuovo un’intera stagione.
Questa è la parte negativa, ma c’è anche molto di buono. Quando viene cancellata una serie che amiamo, che si tratti di Veronica Mars o Brooklyn Nine-Nine, è la fandom che fa rivivere questi show. C’è un potere di resurrezione negli appassionati che è bellissimo, lo apprezzo tanto. Dobbiamo accettare entrambi i lati della medaglia.
Qual è il tuo preferito tra i lavori che hai fatto?
Cambia. Qual è il mio preferito, o quello a cui mi sento più vicino, o quello di cui vado più orgoglioso? Tutto cambia. In questo momento è la prima stagione di Lost, è passato un tempo sufficiente. Quando ci ho lavorato avevo 31 anni ne sono passati 15, amo quel periodo della tv. Mio figlio si sta approcciando alla serie e mia moglie la sta rivedendo per la prima volta. Di tanto in tanto proverò a godermi un episodio con loro per la prima volta in 15 anni. Mi emoziono molto, roba del tipo: “Oh mio Dio, Boone è morto! Sono sconvolto”. Mi estraneo completamente dal mestiere dello showrunner che deve chiamare Ian Somerhalder e dirgli: “So che cinque settimane fa hai scoperto di far parte di questo fenomeno della cultura pop, ma ora ho delle brutte notizie per te”. È successo così tanto tempo fa che ora sono in grado di piangere come un bambino per il destino di Boone.
Watchmen arriva su su Sky Atlantic e NOW TV in contemporanea con la messa in onda americana, dal 21 ottobre – alle 3 della notte fra il 20 e il 21 e poi alle 21.15.