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«Ho presentato Iggy Pop e Kurt Cobain»: intervista a Michael Lavine

Abbiamo incontrato a Bologna il fotografo americano autore dei ritratti più iconici dei Nirvana, da quando erano tre sconosciuti - e il batterista era ancora Chad Channing - alla loro conquista del mondo
Kurt Cobain, gennaio © Foto Michael Lavine

Kurt Cobain, gennaio © Foto Michael Lavine

Fino al 31 gennaio alla galleria ONO arte contemporanea di Bologna è possibile visitare la mostra Kurt Cobain 50: il Grunge nelle fotografie di Michael Lavine, inaugurata in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita di Cobain. Nella galleria sono esposti i grandi classici dell’iconografia dei Nirvana ma anche foto inedite.

In parallelo con la mostra è stata creata anche una limited edition di t-shirt e felpe voluta da Gas. Il brand vicentino, alla sua seconda collaborazione con ONO arte, reinterpreta gli scatti del celebre fotografo. I capi in edizione limitata sono in vendita sia in galleria che on line sul sito www.gasjeans.com.

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Michael Lavine ha lavorato con i Nirvana per poi incontrare altri grandi della musica.

Come hai cominciato con la fotografia?
Tutti pensano che io sia di Seattle, in realtà ho vissuto lì solo 9 mesi, sono di Denver, Colorado. Mi ero trasferito a Seattle dopo il liceo e volevo entrare all’Evergreen State College di Olympia. La mia idea iniziale era di iscrivermi al corso di animazione ma la cambiai all’ultimo momento e mi iscrissi a fotografia.
Scattavamo fotografie in continuazione, le stampavamo e poi le commentavamo tutti insieme. Un giorno arrivai con una foto che avevo scattato a tre ragazzi su una panchina, tutti erano pazzi di quella foto. Era il 1983 e io continuai a fotografare i ragazzi che incontravo per strada, punk, skater. Tutto il lavoro di quegli anni, compresa quella foto, l’ho raccolto molti anni dopo in Grunge, un libro che racconta la scena di quegli anni.
Nel 1985 mi sono trasferito a New York, frequentavo la Parsons. Facevo street photography e continuavo a cercare la mia voce, non avevo mai scattato band. Non conoscevo nessuno in città ma andavo a tantissimi concerti. Un giorno ero al bar della scuola e incontrai una ragazza: l’avevo già vista al concerto dei Black Flag e decisi di andarmi a presentare. Lei fu subito molto carina, e mi disse che era in una band e le sarebbe piaciuto se gli avessi fatto delle foto con il suo gruppo. Io accettai: erano i White Zombie. Usarono una delle mie foto per la cover del loro primo album.

Dopo i White Zombie mi capitò per puro caso di scattare i Pussy Galore, un’altra giovane band. Si erano conosciuti alla Brown University di Rhode Island e si erano appena trasferiti a New York.

Dopo poco mi venne a trovare un mio vecchio amico di Seattle, Bruce Pavitt, fondatore dell’etichetta Sub Pop e gli feci vedere i miei ultimi lavori. Tornato a Seattle mi chiamò per sapere se avessi voglia di scattare alcuni dei gruppi che produceva. Gli dissi di sì, era il 1988, lui mi prese un volo per Seattle e quello fu il mio primo vero lavoro.

Scattai i Mudhoney, che l’anno dopo vennero invitati dai Sonic Youth a seguirli nel loro tour in Inghilterra, dove acquisirono molta notorietà anche grazie a un articolo che uscì su NME che parlava di loro e definiva il movimento Grunge e così anche Sub Pop diventò famosa dalla sera alla mattina e il Grunge divenne un movimento.

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Come sono arrivati i Nirvana nella tua vita?
Ai tempi avevo uno studio su Bleeker Street, dalla mia finestra si vedeva l’ingresso del CBGB’S. Fu lì che scattai i Nirvana per la prima volta. Erano di passaggio a New York e vennero da me. Non li conoscevo, erano una band piccolissima, sconosciuta, i Mudhoney erano famosi, loro no. Bleach era già uscito. Entrammo subito in confidenza, funzionava così a quei tempi, se eri in qualche modo nella scena ti capivi immediatamente ma soprattutto tutti amavamo Iggy Pop (sorride, ndr) e Fun House era la nostra pietra miliare.
Ho incontrato Kurt quel giorno, prima di lui arrivarono Krist (Novoselic) e Chad (Channing), gli chiesi dove fosse Kurt, e loro: “È giù, è rimasto a dormire nel van”, da lì in poi capii che era così sempre, Kurt finiva ogni volta per addormentarsi da qualche parte, faceva pisolini in giro, era stanco spesso.
Era il 1990, eravamo soli in studio, e ogni volta che ci peso divento pazzo perché ricordo di aver fatto almeno 4 rullini di Kurt e gli altri mentre indossa una maschera di plastica e neanche una foto di lui da solo in cui si veda il suo volto.

Nirvana, aprile 1990. Kurt Cobain, Krist Novoselic e Chad Channing. © Foto Michael Lavine

Hai anche fatto da gancio tra Cobain e Iggy Pop…
Una settimana dopo avevo Iggy Pop nel mio studio, dovevo fargli delle foto e mi ricordo che ci divertimmo molto. Mentre eravamo lì misi su il disco dei Nirvana, non li aveva mai sentiti e gli piacquero parecchio. La coincidenza fu che suonavano quella sera al Pyramid, uno dei club più fighi del tempo, e così gli proposi di andare al concerto insieme.
Fu una sera molto importante, prima di tutto perché mi ritrovai a presentare Kurt Cobain a Iggy Pop e poi perché ricordo che Kurt era incazzatissimo, non avevano idea di dove fosse Chad e avrebbero dovuto suonare a breve. Credo che lo licenziarono immediatamente dopo il concerto: pare che scomparisse spesso e fosse sempre in ritardo.
Nel frattempo Iggy aveva la fila di gente davanti a lui che voleva salutarlo, era il “padrino” di tutti noi.

Nirvana, gennaio 1992 © Foto Michael Lavine

Quando li hai reincontrati?
Li rividi direttamente l’anno dopo, era il 1991 e stavano registrando Nevermind a Los Angeles: mi chiesero di andare lì a scattargli delle foto per l’album. C’era Dave Grohl, era il primo servizio fotografico per lui. Fu divertente, quando arrivai Kurt stava ovviamente dormendo sul divano, mi fecero ascoltare Teen Spirit e ricordo che pensai:”Wow mi piace questa canzone!”.

Kurt Cobain e Courtney Love, gennaio 1992 © Foto Michael Lavine

Com’era il tuo rapporto con Kurt?
Dalla prima volta che ci eravamo incontrati rimasi sempre in contatto con Kurt. Perlopiù ci facevamo delle lunghe chiacchierate al telefono, ero il suo amico “pulito” (ride).
L’anno dopo i Nirvana sarebbero venuti a New York per esibirsi al Saturday Night Live, era gennaio del 1992. Li invitai da me per fargli un paio di foto ma senza una vera ragione, solo per passare del tempo insieme. Arrivarono al mio studio e Kurt era veramente sciupato, non riusciva ad aprire gli occhi, era fatto di eroina. Ad un certo punto mi chiese se avevo l’album dei Flipper, ce l’avevo. La cover aveva uno sfondo giallo e un disegno sopra. Kurt lo prese, mi chiese un pennarello, si tolse la maglietta e ci disegnò sopra il simbolo dei Flipper, si infilò la maglietta e cominciammo a scattare.
Tornarono il giorno dopo ma solamente Kurt e Courtney (Love), dovevamo scattare la cover del magazine Sassy. Non avevo mai lavorato per questa rivista. Kurt si era calmato, c’erano molte persone. Il giorno dopo mi dissero che non avrebbero voluto essere sulla cover di Sassy, avevano cambiato idea. Io insistetti perché avevo visto le foto e sapevano quanto fossero belle, forti e autentiche, gliele mandai, scelsero la foto del bacio e accettarono di essere pubblicati sulla copertina.

L’ultima volta che ho visto Kurt fu nel novembre del ’93 perché mi invitò agli MTV Unplugged, ero in prima fila. Finito il concerto andai a salutarlo nel backstage, stava meglio, non si drogava ma usava tantissime pillole per combattere la dipendenza.

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