Houston, abbiamo un bel problema. Ma bello grosso. La riflessione scaturisce dal video di una storia pubblicata dalla manager di un’importante artista italiana su Instagram.
Ebbene, nel video racconto in questione si può vedere, non senza un certo imbarazzo per chi osserva, l’artista sdraiata per terra dopo un’esibizione sul palco. Lei si agita, piagnucola, denuncia una specie di crisi respiratoria. Poi, si alza e condivide con gli astanti l’insoddisfazione per la performance appena andata in scena. Loro la consolano e la rassicurano, perché “no, sei stata bravissima”, quindi lei torna a una dimensione terrena. Finché si accorge di essere ripresa durante la sua più che umana debolezza. La cantante in questione è Emma Marrone.
Al centro del dibattito proprio in questi giorni per essere stata aggredita verbalmente da un consigliere comunale della Lega in quota troglodita che l’ha invitata ad aprire le cosce (testuale) poiché lei chiedeva di aprire i porti, Emma viene annoverata da sempre come persona autentica. Lei stessa tiene moltissimo al titolo. Donna del popolo, salentina orgogliosa, non manca mai di lasciar trasparire l’attaccamento alla sua terra, madre – tra l’altro – di svariate personalità artistiche di buon livello. Saranno lu sole, lu mare e pure lu ientu. E fin qui.
La cosa inquietante, però, è quest’ossessione di voler proporre personaggi che dovrebbero essere miraggi nel loro quotidiano. E questo sì, li rende certamente umani. Terribilmente umani. Troppo umani.
Pensiamo a Lucio Battisti o a Fabrizio De André, a Paolo Conte, Franco Battiato. A Mina. A tutti quelli che hanno fatto della riservatezza una cifra stilistica oltre che artistica e umana. E no, non stiamo paragonando Emma Marrone a Mina o a Battisti, solo cercando di spiegare che non è necessario. Che quando si dice che basta la musica, la musica basta davvero. Non c’è bisogno di esporsi oltre modo, regalare il proprio privatissimo a una massa informe e anonima che no, non è la tua gente, ma un accrocchio di utenti mediamente frustrati, volgari, curiosi, voyeur 2.0 pronti a massacrarti al primo errore. Buttarti giù dal palco sul quale ti hanno portato, dimentichi dell’entusiasmo col quale ti hanno sostenuto fino a lì.
E no. Non c’entra che Battisti, De André, Paolo Conte, Battiato e Mina, per dirne alcuni, siano nati e cresciuti e si siano artisticamente e umanamente evoluti al tempo del telefono col filo e, al massimo, dell’avviso di chiamata. Perché sì, il contesto storico è importante e sì, i social network hanno rincoglionito le masse e gran parte dei loro beniamini. Ma qui c’entra il buon senso. Un buon senso che vorrebbe suggerire agli artisti che quel che conta di più è quello che regalano sul palco. Sono le canzoni che ci lasciano per i nostri momenti di umana debolezza. Chissene frega se Vasco Rossi si lamenta dopo aver cantato davanti a 230mila persone. Chissene frega. Non vogliamo saperlo. Vogliamo pensarlo invincibile come un vero komandante che si rispetti. Quello della vita spericolata come Steve McQueen, che non è mai tardi e non dorme mai. Anche se non è vero.
E così, anche per Emma Marrone. Non vorremmo sapere che è una ragazza come noi. Ci piacerebbe poter pensare che lei è meglio. Che no, non le prendono attacchi di colite prima di esibirsi e nemmeno crisi di insicurezza dopo averlo fatto. Che non le puzza il fiato la mattina. Ci piacerebbe immaginarla come una rockstar nostrana. Solida. Perfetta. Ne avremmo bisogno.
Detto ciò, persino Charles Aznavour dichiarava che salire sul palco era sempre un’emozione. Ma un conto è dichiarare, un conto sarebbe stato vederlo rantolare in terra in preda a un momento di sconforto talmente privato da non dover diventare pubblico.
E allora, questa nostra si trasforma ora da critica in preghiera. Manager, entourage vari, addetti agli artisti, ai lavori e a quel che vi pare: siate intelligenti e lungimiranti e di buon gusto. Non esponete i vostri artisti. Tenete per loro, e per voi, fragilità delle quali il pubblico non sente il bisogno. Tutelateli. Sono miraggi, personaggi prima che persone. Sennò, perché dovremmo andare a chiedere loro foto e firme? Non c’è bisogno di dire sempre la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Quella va bene in tribunale.