- Sul fronte dei provvedimenti legislativi, la legislatura si chiude senza aver affrontato il conflitto di interesse, senza aver affrontato le norme antitrust, senza avere creato le condizioni di sviluppo delle nuove imprese editoriali nel settore dell’online, ma soprattutto, e senza giustificazione alcuna, con la delusione per una legge a cui si stava lavorando, su cronisti minacciati e querele temerarie, ma che si è preferito di far morire.
- Il tutto in uno scenario poco lusinghiero per il nostro Paese...
- Oggi l'Italia occupa ancora una posizione precaria nelle graduatorie internazionali della libertà di stampa. Posizione dovuta alle ingerenze di mafie e malaffare e dal numero di cronisti minacciati e costretti a vivere sotto scorta. Ma non è solo questo: un'altra fattispecie preoccupante è proprio quella delle querele temerarie che non sono il legittimo, e aggiungerei sacrosanto, diritto di un cittadino a non vedersi diffamato, ma azioni intimidatorie in cui non c’è nessun rapporto tra la richiesta di risarcimento e la cifra richiesta.
- Qual è lo scopo di simili azioni?
- L'obiettivo palese (evidenziato anche dal fatto che la maggior parte di queste azioni sono indirizzate verso cronisti di periferia, giornalisti senza grandi gruppi editoriali alle spalle, blogger, ragazze o ragazzi che usano i nuovi strumenti della comunicazione) è quello di spaventare e fare pressioni psicologiche ai cronisti. Lo scopo intimidatorio è stato specificato molto bene da una sentenza del tribunale di Reggio Calabria. Dico questo anche alla luce delle statistiche portate a galla dall’Osservatorio Ossigeno. Spesso certe querele sono archiviate immediatamente, i giudici le guardano e ridono. Però da quando io annuncio la querela contro qualcuno a quando si arriva all’archiviazione talvolta possono passare 5 mesi, 6 mesi, 1 anno; ma il cronista, che nel frattempo ha subito questo 'avvertimento', se si trova in una situazione ambientale di forte pressione può arrivare a desistere dalle sue inchieste.
OGGI L'ITALIA
occupa ancora una
POSIZIONE
PRECARIA
PRECARIA
nelle graduatorie internazionali della libertà di stampa
- Molto dipende anche dall'editore che si ha alle spalle, oltre che dall'indole del giornalista.
- Certo. Ci saranno i colleghi o le colleghe che hanno alle spalle un’azienda editoriale forte e che possono resistere e i colleghi che sono già in una situazione di disagio, di precariato diffuso con situazioni editoriali vergognose alle spalle. Ed è più probabile che su questi ultimi l'abuso doloso di uno strumento legittimo come la querela possa indurre a desistere.
- E allora perché non intervenire con una legge che renda meno facili le querele temerarie?
- Perché in questi ultimi anni si è preferito non mettere le mani su una legge che avesse a che fare con la libertà di informazione e con il diritto di cronaca.
- Come se lo spiega?
- Siccome non penso che ci sia un complotto debbo ritenere che in questo Paese da parte di qualcuno c'è una sorta di accanimento contro la libertà di informazione, mentre da parte di altri c’è una forma di distrazione e omissione che sfociano nel menefreghismo. Ma è una cosa che riguarda ogni contesto. Ormai in Italia è più appassionante il dibattito sui sacchetti per la spesa rispetto al dibattito sulla libertà di informazione e dunque della formazione dell’opinione pubblica al momento del voto.
- Non ha la sensazione che quando siete voi a sollevare questi problemi, qualcuno possa tacciarvi di essere di parte?
- Voglio essere molto chiaro: l’articolo 21 non tutela affatto la diffamazione, non tutela il falso e anzi, chi rivendica la più spietata libertà di critica, deve essere il più spietato combattente contro la falsificazione, perché è del tutto evidente che la falsificazione è funzionale a cancellare il pensiero critico. Ma le regole ci devono essere. E lo strumento giuridico non può trasformarsi in arma di minaccia. A maggior ragione, oggi, Federazione e Ordine non possono chiudersi nel fortino ma devono comprendere che gli alleati stanno nell’online, tra i blogger, tra gli studiosi, nelle accademie, nelle associazioni e in chi riconosce nel diritto all’informazione un bene comune.
- intervista di Matteo Grandi